È mia abitudine “sfogliare” o per meglio dire “scrollare” i quotidiani la mattina mentre faccio colazione, Nel mio mondo idilliaco questo avviene nell’arco di un’oretta circa e mi vede seduta al tavolo del soggiorno di fronte ad un’ampia veranda che si apre su un paesaggio innevato. Nella realtà accade tutto tra le 6:37 e le 6:43 del mattino, mentre tra un biscotto e l’altro, preparo la colazione per junior, lo vesto, gli lavo i denti e lo carico in auto. Ammetto quindi che la mia lettura è più uno skimming che uno scanning, per non dire approssimativa perché fa meno figo, ma a mia discolpa dico che mi riservo di riprenderla in pausa pranzo. 

Mi è capitato di provare stupore di fronte a chi afferma: “Basta TG! Ci sono solo morti e violenze!”, perché io, al contrario, sento l’esigenza di tenermi informata. Ho sempre ritenuto che il “non voler vedere” fosse un falso rimedio, un modo immaturo di ricercare protezione, in questo contesto come in altri. Eppure adesso in parte li capisco, anche se in me permane ancora la curiosità, il desiderio di sapere, la ricerca di consapevolezza.

E così continuo a leggere. Ma con quale ribrezzo, preoccupazione e rabbia! Siamo già massacrati dalle notizie, discutibili e non, legate alla pandemia. Noi stessi viviamo avvolti da una cappa tetra e pesante, la cappa angosciante di chi si è visto annullare due anni di vita libera a causa di un virus che ancora porta con sé tanti interrogativi, ma poche certezze, tra le quali più di tutte manca quella della fine. 

Aggiungiamo a tutto ciò il fatto che, nel tentativo di tenersi informati, non si può evitare di imbattersi in notizie preoccupanti, che raccontano di atti di violenza inaudita, a volte persino inaspettata perché generata in quelli che dovrebbero essere ambienti protetti (penso ai femminicidi che avvengono in famiglia), o perché originati da poco più che bambini (il Capodanno romano a basse di sesso violento e droga o la violenza sulla quindicenne di qualche giorno fa). Leggo poi di tentativi anacronistici di rifondare vecchi cluster geopolitici, minacciando invasioni ed annessioni. Leggo di morti sul lavoro, quasi che fossimo ancora nell’Inghilterra Dickensiana della Rivoluzione Industriale. 

Ma in tutto questo che fine ha fatto l’evoluzione umana? Perché così tanta sete di violenza in un momento in cui anche solo poter mettere il naso fuori casa senza doverlo coprire con 5 strati di morbidezza ffp2, dovrebbe essere un lusso? Dovrebbe bastare a dare sollievo, gioia e farci inebriare di quella agognata libertà che da tanto tempo ci sfugge. Qualcuno imputa alla pandemia ed alle restrizioni relative questo stato di degrado morale, civile e sociale. Io non lo so. Non sono né sociologa, né psicologa. Ma da comune “uomo della strada” (eh sì, mi sta bene anche usare la parola “uomo”, tanto ormai il genere appartiene al passato!) da comune “uomo della strada” con prole, posso dire che tutto ciò mi spaventa.

Mi trovo spesso a pensare in quale tipo di mondo ho messo mio figlio, a quanto dovrei investire per educarlo al rispetto, al controllo dei suoi istinti animaleschi. E tutto senza alcuna garanzia. Potrebbe non essere abbastanza. Potrebbe non funzionare. Mio padre dice: “Da un pero non può nascere una mela”, ma l’uomo, si sa, è un animale sociale e dalla socialità così come dall’ambiente in cui vive, si fa influenzare. Non lo si può chiudere in una campana di vetro evitandogli ogni contatto con l’esterno per mantenerlo puro. Non si può che fare del proprio meglio per tirare su uomini e donne in grado di discernere, di sperimentare senza eccedere troppo, di rispettare, onorare, ricordare. Perché senza la consapevolezza di ciò che è stato, difficilmente ci sarà futuro.

Con la caparbietà di evitare il perenne ripetersi di ciò che è già stato, di vedere il tempo ed il futuro come qualcosa di diverso da un ciclico ripetersi, con la capacità di non confondere l’evoluzione con l’annientamento dei valori che hanno fatto il bello della nostra storia di uomini. Abbiamo il dovere di dare alle nuove generazioni gli strumenti per uscire da questo pantano. Gli strumenti per trovare il coraggio di cambiare, ciò che possono cambiare, la serenità di accettare ciò che non possono cambiare e discernere l’uno dall’altro. Come ha detto qualcuno, la cui identità ancora non mi è chiara, ben prima di me.

Ed allora vorrei concludere con questo brano:

perché se sapessimo aprire gli occhi, vedere la meraviglia del nostro mondo, non saremmo così annoiati, perennemente schifati, incavolati ed alla ricerca di emozioni che vanno al di là. Sapremmo che la meraviglia è lì, a portata di mano. Non ci servirebbe altro, non sapremmo cos’è la noia e saremmo soddisfatti, pieni, sazi di tutto ciò che abbiamo. Se la smettessimo di correre e rincorrere, se guardassimo quello che abbiamo intorno a noi, sotto ai nostri piedi e sopra alla nostra testa, saremmo più felici e completi nel nostro mondo meraviglioso. 

Articolo a cura di Cinzia Costi

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