Che cosa fa di me, “me”? Che cosa rimane in me ora del bambino che ero una volta? Nonostante le infinite vicissitudini e accidentalità della vita, sono in grado di tracciare una sorta di continuità tra ciò che ero e ciò che sono. Qualcosa è pur rimasto immune all’imperversare del tempo. Questo senso di Sé è reale? Questa percezione di compattezza, unità, da dove arriva?

Il filosofo contemporaneo Julian Baggini (1968), dottore di ricerca in filosofia dell’identità personale, tenta di rispondere a tali quesiti con la sua recente pubblicazione: The Ego Trick. Mescolando aneddoti, filosofia religiosa e secolare, neuroscienze e neurologia, il saggio si configura come un tentativo piacevole e di facile lettura per spiegare cosa fa di te, “te”.

IL SÉ NON ESISTE

Trick, dalla langue d’oïl trique, derivato da trichier a sua volta di origine incerta, probabilmente il latino volgare triccare. Tricari, ossia“raggirare”. 

Se l’opera di Baggini fosse una rappresentazione teatrale, il soggetto sarebbe l’inganno, e attore e pubblico coinciderebbero. L’ “inganno del Sé”, spiega il filosofo, è la creazione da parte del corpo e del cervello di un forte senso di unità e singolarità, a partire da ciò che è in realtà una sequenza disordinata e frammentata di esperienze e ricordi.

Baggini smentisce la precedente e opposta “pearl” theory, secondo la quale, indipendentemente da tutti i cambiamenti che subiamo nel corso della vita, una sorta di essenza di noi – in noi – permane. Numerose ricerche da parte delle neuroscienze non hanno però trovato alcun “nucleo” in nessuna particolare area del cervello. Piuttosto, come ipotizzato da Baggini, diversi sistemi cerebrali lavorano insieme per fornirci una percezione di unicità e di essere in controllo.

Questo movimento verso l’autocoscienza è incredibilmente forte, e per una buona ragione: non possiamo funzionare come animali sociali, se non vediamo noi stessi e gli altri come separati “Sé”.

HA ANCORA SENSO PARLARE DI CARATTERE?

Baggini introduce The Ego Trick con una citazione di Hume, dal Trattato sulla Natura Umana:

“For my part, when I enter most intimately into what I call myself, I always stumble on some particular perception or other, of heat or cold, light or shade, love or hatred, pain or pleasure, colour or sound, etc. I never catch myself, distinct from some such perception.”

Non abbiamo un’essenza imperitura; siamo piuttosto un fascio di percezioni, emozioni e memorie, che cambia costantemente. Il Sé non ha un vero e proprio centro; ha ancora senso parlare di “carattere”?

L’ambiente

Secondo Baggini, il nostro affidamento nel carattere è mal riposto; l’ambiente che ci circonda può avere un impatto decisamente maggiore nel determinare quello che facciamo. Il filosofo riporta diversi esperimenti psicologici a conferma di ciò, tra cui due particolarmente noti.

Negli “obedience to authority” experiments di Stanley Milgram si invitava un campione di persone  a dare volontariamente delle scosse elettriche, consapevoli che avrebbero danneggiato gli altri, al solo scopo di compiacere i responsabili dell’esperimento. I soggetti erano persone comuni, anzi riguardose, ma si notò che la ricerca dell’approvazione suscitava un’attrazione maggiore rispetto alla compassione altrui.

Nell’altrettanto noto Stanford Prison Experiment, ideato dallo psicologo Philip Zimbardo, fu simulato un ambiente carcerario per la durata di cinque giorni, in cui vennero introdotti studenti universitari. Dopo circa un solo giorno si notò un drastico calo nella condotta individuale: tali soggetti, fra i più equilibrati, maturi e meno attratti da comportamenti devianti, giunsero a comportarsi in modo vessatorio e sadico verso coloro sotto il loro controllo. Zimbardo ne concluse che: “The human mind gives us templates or potentials to be anything at any time”.

Gli oggetti e le relazioni

Non solo l’ambiente, lo psicologo e filosofo William James (1842-1910) evidenziò come i vestiti diventino parte della nostra identità; lo stesso potrebbe essere detto per l’abitazione, l’auto, e altri averi. Dove finisci “tu” e gli oggetti intorno a te cominciano?

William James sottolineò, inoltre, la rilevanza del nostro contesto sociale nel plasmarci; la nostra famiglia e i nostri amici fanno di noi ciò che siamo. Vivendo con gli altri acquisiamo la loro visione del mondo, e loro la nostra. Come sostiene Baggini, le relazioni che costituiscono la nostra identità sono quelle che intrecciamo con gli altri, non quelle tra i pensieri e le memorie nella nostra mente. 

Noi siamo la nostra collezione di ruoli.

COMMENTI FINALI

Quindi, nulla di noi si salva in questo flusso di coscienza soggettiva e fascio di percezioni che siamo?

“E tuttavia, non siamo solo una collezione di ruoli”, osserva Baggini – possediamo un senso di Sé in chiave psicologica che si mantiene, qualsiasi ruolo ricopriamo nella vita. 

Siamo più di mere costruzioni: abbiamo unità e continuità, anche se privi di un’essenza stabile o di un’anima eterna. “The self clearly exists,” rimarca il filosofo, “it is just not a thing independent of its constituent parts”.

O come la pose più poeticamente Walt Whitman:

I am large

I contain multitudes.

Similmente:

Sam Harris, Free Will

David Hume, Ricerca sull’Intelletto Umano

Montaigne, Saggi

Di Noemi Manghi

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