Ho terminato da poco la famosa serie “This is us”. Non la conoscete? Vi consiglio di guardarla se non avete timore dei salti temporali nella trama, della melensaggine e dell’inclusività. Il tutto condito dall’attualità e da tematiche scottanti quali l’alcoolismo, la violenza domestica e si, anche lei: la guerra del Viet-Nam. 

Troppa roba? Forse, ma in realtà tutto scorre in modo fluido, l’attenzione viene sempre stimolata ed i colpi di scena non mancano. Siano essi dati dall’introduzione di un nuovo personaggio apparentemente slegato dagli altri, dalla fine di un matrimonio o dalla nascita di qualcuno.

Andiamo con ordine, anche se non è mia intenzione raccontarvi la trama. “This is us” è la storia di 3 generazioni di una stessa famiglia. Raccontata intrecciandone le vicende a partire dagli anni ’70, passando per i ’90 e per l’epoca attuale (Covid incluso) per poi finire in un ipotetico futuro. Ecco perché parlavo di salti temporali: perché le vicende dei genitori si intrecciano con quelle dei figli e dei nipoti.

I protagonisti sono una giovane coppia, Jack e Rebecca Pearson, ed i loro 3 figli “gemelli”: 2 loro e uno adottato. 2 caucasici (Kevin e Kate) e uno, Randall quello adottivo, di colore. “I grandi 3”. Cinque persone le cui vite, le cui vicissitudini, racchiudono innumerevoli tematiche: le difficoltà legate all’essere un figlio di colore in una famiglia di bianchi, la ricerca spasmodica dei genitori naturali, l’incontro, virtuale e non con gli stessi.

Gli ostacoli legati al proprio aspetto fisico ed all’obesità, l’essere accettati pur non incarnando gli stigmi della figlia e della ragazza perfetta, le sfide dettate dall’handicap del proprio figlio che saranno anche la fonte della propria crescita professionale e della ritrovata felicità sentimentale dopo il fallimento del proprio matrimonio. L’inseguimento spasmodico del successo, della carriera, bruciando gli affetti, ritrovandosi soli ed alcoolizzati. 

Queste, insomma, le vicende e le caratteristiche dei “grandi 3” che fanno da filo conduttore alle 6 stagioni di questa serie.

Ma le cose che più mi hanno colpita sono due: un monologo di Randall relativo allo scorrere del tempo e la rappresentazione che nella puntata finale viene fatta della morte. 

Partiamo dal primo, premettendo che Randall è il personaggio che ho trovato più melenso e pesante, a tratti fastidioso. Ma nelle fasi finali della vita della madre, fa una riflessione sullo scorrere del tempo, su quanto questo appaia più lento nell’infanzia, per velocizzarsi man mano fino a non permetterci più di gestirlo. Lasciandoci di fronte all’inesorabile scure che segna il distacco dalle persone care, con tutti gli interrogativi conseguenti: avrei potuto dedicar loro più tempo? Posso in qualche modo recuperare?

La vita da adulti poi, ci costringe spesso a farci carico anche del tempo dei figli, ad utilizzare il nostro per permettere loro di svolgere le attività dovute. Ma d’altra parte, crescendo, adoriamo riempire il tempo perché non amiamo annoiarci. Non sappiamo più annoiarci. Ecco perché le estati da bambini erano così lunghe: perché non avevamo paura di passare parte del nostro tempo annoiandoci. Che poi in fondo che cos’è la noia? Un fastidio necessario ad apprezzare il “tempo pieno”? Un momento di pausa nella frenesia quotidiana? Una di quelle situazioni così rare, da lasciarci straniti quando si verificano, A tratti forse anche dubbiosi: ma davvero non ho nulla da fare? Avrò fatto tutto? Mamma che noia tutta questa ansia da prestazione! Torniamo al tempo dell’infanzia, quando anche stare seduti in un campo sotto al sole cocente guardando il cielo e sfogliando fiori, era “tempo pieno”.

Come ci suggerisce il finale di stagione, il nostro treno è partito, non sappiamo né quando raggiungerà la stazione di destino, né di quanti vagoni si componga. L’importante è che in ognuno di quei vagoni ci sia un affetto, una persona cara, qualcuno che condivida con noi un tratto del viaggio. Che, arrivati all’ultima carrozza, troviamo qualcuno ad aspettarci e ad accompagnarci nell’ultimo tratto verso la stazione. Qualcuno che ci rassicuri e che ci accolga in un abbraccio. L’importante è che guardandoci indietro possiamo renderci conto non solo di quanto lungo sia il nostro treno, ma di quanti passeggeri abbiano condiviso il viaggio con noi. Che il viaggio sia stato ricco di pianti, abbracci, sorrisi, che sia stato magari rumoroso, ma vivo. E che il treno freni dolcemente avvicinandosi alla stazione e ci lasci il tempo di annoiarci, per sempre.

Per concludere, ecco il brano cantato da Mandy Moore (Rebecca), che riprende il Main theme della serie: https://www.youtube.com/watch?v=wC5VQkMP0Ko

Di Cinzia Costi

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