
Cavalese, Val di Fiemme, ameno paese sdraiato sui pendii che guardano la Catena del Lagorai. Sempre sottobattuta del sole, quando c’è, a me sembra una decadente località, memore di fasti passati, oggi non così aggiornata come altri luoghi non distanti sia della Val di Fiemme che della Val di Fassa.
Proprio per questo Cavalese ha lo spirito che mi piace: il luogo per soggiornare nel tempo libero, lungi dal ritrovare nelle mete di villeggiatura la città che lasci, massa, confusione, assenza dello spirito feriale, il recupero dalle fatiche del lavoro. E da qualche anno io sono lì, estate ed inverno, ogni fine settimana che mi è possibile. Anche superando il concetto di luogo delle ferie, mi capita di vivere nello spirito non diverso della mia vita di residenza, con una differenza non da poco: mentre lavoro, la finestra mi restituisce un panorama spettacolare, il rumore indica ritmi inusitati per i cittadini.
Se volete proseguire Predazzo, Moena, Pozza, Canazei. Ma sono viaggi diversi, anche per diverse offerte turistiche: non per me. Che d’inverno ho due comprensori sciistici a 10 minuti di macchina: il Cermis, si parte in centro a Cavalese, gli impianti raggiungibili a piedi; Pampeago (nel comprensorio Obereggen / Pampeago / Predazzo). Sicuramente non siete sul Sellaronda, ma vi togliete la voglia di sci per qualità e quantità di piste. E se proprio un giorno volete il Sellaronda, mezz’ora d’auto (se vi svegliate ad un orario… poco urbano) e ci siete.

Dicevo lo sci di discesa non vi manca, ma soprattutto non vi manca quello di salita, la mia passione, le pelli da mettere sotto gli sci, scialpinismo. Latemar e Lagorai, imbarazzo della scelta per faticare come muli, ma godere di paesaggi e momenti impagabili, voi e magari un camoscio che silenzioso vi segue a tre metri di distanza. Latemar, le montagne che dividono le province di Trento e Bolzano, attrezzato un pò di più, qualche rifugio, Dolomiti. Lagorai invece, la catena selvaggia, ai limiti della civiltà, un pò estrema se proprio vogliamo dirla tutta. Non siamo nelle Dolomiti, parliamo di una catena di monti lunga 70 chilometri, dal Monte Panarotta al Passo Rolle. Un concatenamento di vette che agli occhi sembrano le punte di un pettine. Altezze che viaggiano al massimo ai 2750 metri, ma vi posso garantire di selvaggia desinenza montuosa. Dove gli incontri di fattezze umane sono molto centellinati. Non vi mancheranno la difficoltà e la fatica.
D’estate gli amanti del mountain biking o del trekking troveranno il Lagorai palestra di fatica di ardimento. Solo dovrete prepararvi a gite in solitudine, in giornata e, se di più giorni, all’attrezzatura fai-da-te, perché i rifugi scarseggiano. Esiste un percorso per amanti della corsa in montagna, la Translagorai, per i più bravi due / tre giorni di corsa: esaltazione agonistica pura. Per me, agosto, dicembre e gennaio rappresentano un tripudio di fatica e autostima.
Ah, per non dimenticare , esiste il passo di Oclini, sopra Cavalese, più a portata di famiglia: sono molto legato a questa località perchè il Corno Nero e il Corno Bianco, dirimpettai ospiti di camminate, corse e salite con gli sci, mi hanno adottato per costanza di frequentazione. Poi, per non farvi credere che la vita sia tutta una fatica, ricordo che quando la giornata è piovosa, mi attendono il Lago di Caldaro e la Valle di Cembra, con le loro cantine, dove rifornisco la mia dei classici (e straordinariamnete buoni) Pinot Neri e Lagrein, soprattutto.

Per recuperare calorie, alla sera mi ritrovo da Kurbishof, il mio ristorante preferito. Un maso, interno tipicissimo dell’Alto Adige, ad Anterivo, la famiglia Varesco, una prevalenza tipicamente altoatesina con contaminazione ligure, la moglie di Hartman, il proprietario. A me lui ha sempre ricordato per la sua spontanea affabilità, affabilità ed accoglienza il turco spacciatore del film Mediterraneo: con il suo modo di fare magnetico vi invita a non tralasciare nessuna portata della sua offerta culinaria. Pagate il giusto medio-alto, ma vi ha convinti senza riserve.
Frequento molto anche Frosch, a Varena: Catia, Giulia e Sara (in cucina) hanno portato una ventata di aria nuova per la ristorazione delle Valli di Fiemme e Fassa. Non la solita polenta, funghi e canederli della tradizione, ma un multiculturalismo gastronomico di grande qualità. Sempre un buon rapporto qualità prezzo (questo, come per Kurbishof, non proprio a buon mercato).
Equilibrio, più a portata di portafoglio, se andate in paese a mangiare da “El Molin Wine Bar”. Mi raccomando però, non sbagliate porta, perchè altrimenti sarete ospiti di quello che io chiamo Don Gilmozzi, stellato chef Ristorante El Molin: altra storia gastronomica, che ai più tocca forse una volta nella vita.
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