Avete letto bene, non si tratta di un refuso perché non si tratta della città californiana, ma di un locale: il Los Angeles di Bergonzano. Quel locale che per una stagione sarebbe potuto diventare motivo di invidia per i ragazzi californiani. Avrebbe reso le nostre estati spensierate, divertenti. Qualcuno di noi lì ha pianto, qualcuno ci ha litigato o lavorato, qualcuno è cresciuto lì dentro e altri si sono semplicemente divertiti, altri ci hanno trovato l’amore della loro vita o di una sola estate. Non è stato un semplice locale, molto di più.

Bisognava aspettare il terzo o il quarto week-end di Maggio per l’inaugurazione: da lì erano sandali e minigonna senza calze. Al massimo gli stivali perché il Los Angeles era in collina e si partiva sempre scollate, ma si finiva con un golfino o l’amatissimo giacchino Jeans. Era in collina…già. Quanti hanno lasciato la frizione su per i tornanti di Bergonzano nel tentativo di cimentarsi in comicissime partenze in salita, man mano che la coda per arrivare si smaltiva e potevi avvicinarti al parcheggio. Ecco, il parcheggio. Se arrivavi presto eri fortunato e trovavi posto in un campo di fronte al locale…. Ma poi per uscire dovevi aspettare la chiusura dello stesso, perché c’era sempre il furbetto che ti parcheggiava attaccato al sedere. In alternativa dovevi inerpicarti per un altro paio di tornanti e trovare posto lungo la strada.

Era però assolutamente vietato parcheggiare troppo lontano. Se no come si poteva coprire la distanza che ci divideva dall’ingresso con i sandali apertissimi e tacco 12 a spillo?

(Piccola digressione: mentre scrivo mi sento Max Pezzali o Luciano Ligabue, quando con la loro vena nostalgica raccontano l’uno degli anni ’90 e l’altro dei luoghi della nostra Emilia)

Torniamo a noi. I più scaltri, se non erano amici dei proprietari o dei DJ, andavano su prima per cenare o bere un drink nel locale adiacente. Un locale meraviglioso con una terrazza panoramica spettacolare che garantiva una vista mozzafiato su tutta la provincia e sul Castello di Bianello. Ancora oggi mi emoziono se ripenso a quel posto meraviglioso, mi lascia tuttora senza parole.

E poi scoccava la mezzanotte e ci si avviava all’ingresso, ai cancelli di quello che sarebbe stato il nostro paradiso per una sera. Tutti in fila, scambiando chiacchiere sulle aspettative circa la serata: “Ma ci sarà lui? E se ti chiede di uscire cosa gli dici?” finché non ci si ritrovava davanti al buttafuori. Sempre serio e impassibile anche se vedeva le nostre facce puntualmente tutti i venerdì e tutti i sabati estivi lì. Tutti i venerdì e tutti i sabati invernali all’Adrenaline e, nelle stagioni d’oro, anche il mercoledì in altri locali come il Papasito. Insomma, in giro per tutta la provincia c’era solo l’imbarazzo della scelta. Erano gli anni in cui spopolava la musica house, quella bella. Quella che riusciva a sciogliere anche i tronchi come me. Erano gli anni del “Cafè del mar” e “Buddha bar”, che si alternavano a “One night in Ibiza” nei lettori cd delle auto o nelle musicassette, per quelli un po’ più indietro come me.

Ma torniamo ai buttafuori. Una volta raggiunti, occorreva ricordare la parola magica: “Lista D-Verso, tizio + 10”. Già, perché quando ci si muoveva non lo si faceva mica in due! Ed ecco che si spalancavano le porte della felicità per quella sera. Una volta entrati, iniziava il peregrinare: pista grande, piscina, privé. Un drink al bar, due chiacchiere appoggiate alla ringhiera della piscina, un momento di pura danza scatenata in pista grande quando partiva “Black Legend – You see the trouble with me”, con la sua potentissima campionatura di Barry White. E ancora, piscina e privé. “Oh, vieni a sentire! Nel privé suonano Gianna”.

E via: privè, pista grande, bordo piscina. Poteva capitare, e sicuramente è capitato, che qualcuno passando dal bordo piscina, incrociasse uno sguardo. Uno sguardo impossibile da ignorare, tanto da chiedersi: ma davvero sta guardando me? uno sguardo così intenso da occupare la mente per tutto il resto della serata e da trasformarsi in una grande, potente, importante storia d’amore. Ma poi dal privé arrivava “Everybody” dei Backstreet boys e subito dopo “Living la vida Loca” di Ricky Martin. E cosa vuoi fare? Non vorrai mica perdertele per soffermarti su quegli occhi che per un solo istante, ti hanno regalato un’emozione che lascerà il segno? Ma certo che no. Perché è proprio questo il bello della leggerezza, della gioventù. Che tutto viene vissuto, trangugiato voracemente. Tutto accade in un attimo, con la stessa importanza. Tutto è lì ad aspettarti, devi solo avvicinarlo e viverlo, o farti rincorrere un po’. Questo è quello che IL Los Angeles ha rappresentato per noi: l’intensa leggerezza della gioventù.

Articolo a cura di Cinzia Costi

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