
27 Gennaio e le bacheche di Facebook – si chiamano ancora così? – perdono i colori, mentre nelle homepage di Instagram si mischiano ricordi di gite del Linguistico a Mauthausen insieme ai “droppa il tuo Agosto” – che accozzaglia inutile.
A volte sembra che il nostro interminabile egocentrismo ci porti inconsciamente a pensare che la memoria di cui si parla sia relativa al nostro ricordo di quella visita guidata, piuttosto che alle vittime che vi avevano soggiornato – un b&b, comunque, con pessime recensioni. Mi viene in mente una frase di Hotel California – Eagles, 1977 – “ You can check out anytime you like, but you can never leave”: qualsiasi cosa tu faccia, certe cose ti rimangono sempre addosso, moriranno con te – a volte neanche così.

Questo bisogno costante di essere protagonisti, di bucare lo schermo, questa continua attesa ansiosa del momento più opportuno, in grado di giustificare la condivisione di una nostra fotografia, ci rende dipendenti e incapaci di quel “carpe diem” devitalizzato nelle vostre didascalie.
Io non ho mai visitato un campo di concentramento, un po’ per fifa e un po’ perché mi sa di “turismo nero”, ma soprattutto per fifa. Al liceo studi la storia, guardi dei film durante le assemblee d’istituto, leggi i racconti di chi è riuscito a fare quel check out alla reception, ma oramai gli avevano perso i bagagli, ma alla fine cosa capisci? Empatizzi sì, ma non capisci.
3 settimane fa ho ridotto la macchina una poltiglia, ma per un frangente di secondo ho volato – un po’ come Thelma & Louise, solo che il mio Ridley Scott aveva voglia di un sequel. Vederla giorni dopo nel suo piccolo loculo, non è stato facile, era irriconoscibile: spogliata della sua carrozzeria, di cui i pezzi inutili erano stati abbandonati sulla strada, smagrita, a causa dell’esplosione delle ruote e della rottura del semiasse, ridotta ad un numero dal carrozziere, “la vostra è la 12b”, privata della sua essenza, oramai incapace di muoversi in autonomia viste le ferite riportate alle meccaniche.
Il 7 Dicembre scorso qualcuno aveva disegnato, spostando la condensa con un dito, un cuore sul parabrezza, tornai a casa e tutto il vetro era spannato, tutto tranne quel piccolo angolo di gioia.
Ed era ancora lì, unico sopravvissuto, unico punto fermo, unico lascito dell’essenza di quella macchina, era il ricordo di un momento.
Che forza che hanno i ricordi, a volte è più facile trovarli, grazie a fotografie, cicatrici, odori, ma a volte è giusto compiere il grande sforzo di cercarli in autonomia, senza ausili. Non mi permetterò mai di dire quale possa e quale non possa essere il significato della Giornata della Memoria, ma io, oggi, il mio, lo rintraccio qui: “Ricordarti di non scordare”, lo diceva Battisti, un meta-ricordo insomma.
Di Antonio Floriani