
Prendete un educatore, o come lo vorrei chiamare meglio io un padre spirituale, aggiungete la sua eredità spirituale in un libro, completate tutto con il fermento di modernità, il progresso e la qualità della vita che stanno pervadendo la nostra quotidianità.
Cosa ne esce? Una ricetta personale che vorrei condividere con voi, con il rischio di sentirmi chiamare vecchio babbeo, ma con la certezza di sapere che sia la ricetta vincente.
Partiamo dall’educatore: al di là di tutti i soliti concentrati di buone istruzioni per essere un uomo di qualità, mi ha lasciato un’eredità fatta di ottimismo, fiducia nell’uomo e nelle sue azioni. In cosa si è tradotta la lectio magistralis del mio faro? Un solido costrutto di risorse per potermi definire ottimista: credo nell’uomo e credo nel suo essere in grado di risolvere tutti i problemi che qualche diavoletto impertinente cercherà di inventare.
Guardate cosa ci sta mettendo a disposizione la parte bella dell’uomo per coltivare la fiducia e l’ottimismo di tutti quelli come me: guardate la tecnologia che progredisce o i successi della medicina. Nostro obbligo morale è non ostacolare il progresso e partecipare materialmente allo sviluppo e all’utilizzo dello stesso, per non diventare le parti che interrompono il flusso del progresso. Fino a che avremo vita da vivere dovremo essere partecipi della vita stessa, in tutte le sue accezioni. Insieme ai più giovani. L’esempio più pragmatico che io riesca a darvi: noi non dobbiamo disinteressarci del tema ecologico perché fra qualche anno non ce ne fregherà più nulla della qualità dell’aria o dell’acqua. Pena galera e via la chiave. Egoisti!
Secondo il libro di cui voglio parlarvi, niente può esistere se non rappresentiamo l’uomo diverso da noi come la più grande ricchezza in ottica di ottimismo e progresso. Se perdiamo di vista l’uomo perdiamo di vista il futuribile che amiamo, la colla che rende possibile il nostro ottimismo e ciò che lo alimenta: il progresso.
Il mio faro, la mia guida spirituale, è stato il mio professore di italiano e latino delle medie. È il 1973, mi ha lasciato un bel libro. Il titolo “Il diritto di essere uomo”. Allora l’editore era SEI. La pubblicazione del libro fu promossa dall’UNESCO, nel ventesimo anniversario della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, che decise di raccogliere i testi che accertassero l’universalità della affermazione e delle rivendicazioni del diritto di essere uomo. Nota bene: siamo nel 1973, allora non esisteva l’attenzione alle parole, ma ci penso io, prima di proseguire: dove leggete uomo, parliamo di uomo e donna. Mille e oltre frammenti di ogni epoca: dal terzo millennio avanti Cristo fino ai giorni di allora. Selezionati da un’equipe di specialisti, sotto la direzione di Jeanne Hersch, allora direttrice della divisione filosofia dell’Unesco. Testi dei più diversi generi: tragedie, epigrammi, testi legislativi, proverbi, analisi politiche, invocazioni religiose, racconti, canzoni. Temi dei più diversi generi: la persona, il potere, i limiti del potere, la libertà civile, la verità, i diritti sociali, libertà effettiva e non solo giuridica, la scienza, la cultura, la violenza, la schiavitù, il diritto contro la forza, l’identità nazionale, l’indipendenza, i fondamenti e le finalità dei diritti. Autori, anche qui varietà estrema: trasmissione orale, tribù primitive e loro detti, versi del Corano, della Bibbia, brani di filosofi e romanzieri. Tutti legati da un’affinità: un aiuto alle nostre coscienze di uomini di progresso per prendere coscienza di una verità irrinunciabile. Il diritto di essere uomini va conquistato, coltivato e difeso ogni giorno.
Ora questo libro non è facile da trovare, so che esiste un’altra edizione ad opera di Feltrinelli, ma non so quanto sia recuperabile. Personalmente ho in mente un progetto, quello di raccogliere personalmente in pubblicazioni temporanee digitali con testi a tema: meglio ancora se troverò qualche partner che mi dia una mano.
Vado a chiudere con due piccoli camei presenti nell’opera.
1) A sintetizzare lo spirito dell’opera (Mariano Moreno, 1810) “Un tiranno qualunque può costringere i suoi schiavi a cantare inni di libertà”
2) Uno dei miei preferiti.
L’ingratitudine è peggiore della violenza (Purananooru. Circa III sec. A.C. Epoca sangam. Tradotto dal Tamil)
“Anche per i malvagi…………..per coloro che hanno commesso i peggiori crimini…………vi è una speranza di salvezza. Ma, anche se il mondo fosse sconvolto da cima a fondo, non vi sarebbe salvezza per gli ingrati che dimenticano il bene che hanno ricevuto.”