Il tifoso di calcio. Non l’appassionato, protocategoria della vera categoria: il tifoso di un squadra di calcio.

Cominciamo a mettere a fuoco il soggetto. Per definirlo nella sua essenza, una cosa sola non tradirebbe mai: la propria squadra. Avete capito bene, tradisce la propria donna, ma non la squadra del cuore.
Per chiarire il tema: non è un tifoso colui che almeno una volta nella sua vita ha esagerato con la violenza, avente come movente una partita di calcio. Non per perbenismo questa sentenza, ma questi personaggi, al di fuori della nostra indagine, si muovono in altro ambito. Escludiamo anche dal genus tifoso i commentatori a vario titolo di calcio, più interessati alla propria autoreferenza che non a comprendere il pathos calcistico.

Entrando nel cerchio magico, il tifoso neandertaliano è l’ultras, a cui non frega un accidente della squadra per la quale è allo stadio: guardando le immagini delle curve, vediamo che questi simil tifosi che passano il loro tempo con la schiena al campo, a dare i ritmi del tifo ad altri. Vai a capire cosa gli scalda il cuore, a questi, e per quale motivo sono tenuti in così tanta considerazione dalle società.

Segue appunto, nella scala evolutiva, il tifoso operaio: il vero bracciante di questo sport, il colletto blu. Più che mai oggi motore economico del movimento calcistico, con abbonamenti alle varie pay per view, nonché agli stadi. Non è necessario che abbia giocato a calcio, non è necessario che conosca le teorie e le tattiche calcistiche, schemi difensivi e offensivi. Guarda la partita della sua squadra, campionato o coppa che sia, davanti alla televisione, in trance, da solo. Non vuole birra, non vuole nessuno, chiude la porta, nel migliore dei casi è seduto in poltrona, nel peggiore guarda tutta la partita in piedi, giocandola con movimenti mimanti le azioni e le situazioni. Non parla, non urla e non pensa; soffre, non solo se la squadra prende gol, ma anche e di più per un quasi gol subito.

Sta malissimo sullo zero a zero, ma di più se la sua squadra vince solo uno a zero, perché non è mai finita e sfinisce la tenuta emotiva del cuore. Si siede in poltrona, con un sorriso sereno, solo se si vince quattro a zero. Ma se alla fine la squadra ha perso, ha solamente queste necessità: che nessun familiare chieda com’è andata (o peggio ancora come mai), andare a letto, non leggere i messaggi degli amici ostili al telefono, non vedere alcuna trasmissione sportiva, non leggere giornali sportivi per una settimana, non ascoltare i discorsi calcistici dei colleghi al lavoro.

Quando tutto ciò riesce, siamo di fronte a un’opera d’arte di comunicazione e relazione: un lavoro paziente e di educazione per tutti coloro che lo circondano, che il tifoso mette piano piano in atto, per fare passare la sconfitta inosservata: il tifoso la deve vivere nella perfetta solitudine. Tutto fino alla vittoria successiva.

Proseguendo nelle definizioni, troviamo il tifoso da stadio: si differenzia con tutta evidenza rispetto a quello da televisione per l’incapacità di soffrire da solo a casa. Preferisce la massa vociante, un sostegno per la propria incapacità di eroica solitudine, ha bisogno di essere in compresenza con altri altrettanto poco abituati al coraggio della solitudine da televisione. È ugualmente però tifoso sofferente e, dopo qualche chiacchiera di poco interesse da pre partita e intervallo, riesce a replicare, mutatis mutandis, l’ambiente domestico di visone della partita, seppur sfumato. Con tutti i riti e accessori in precedenza descritti, pre, durante e post partita.

Al top della classifica del tifoso di calcio troviamo il tifoso secondo Eoo: il colletto bianco. Il calcio per lui è un gioco stupendo, il suo tifo e il suo sostegno per una squadra alimentano questo mondo. Cos’è il calcio, per il nostro tifoso? Non sicuramente, come detto in incipit, un gioco per violenti. Nemmeno un gioco di mezzucci. Nemmeno un gioco per sceicchi e potentati economici mondiali. È grato se qualche ricco miliardario acquista la sua squadra, se ne comprende i DNA, ma è immediatamente pronto a scaricarlo se manca il riconoscimento dei valori e della storia della squadra. Viene espulso, storicamente comprovato, come un corpo estraneo.

Il tifoso secondo Eoo vuole essere emozionato. Dai suoi eroi. La partita, momento sommo della sua attesa, esalta il gioco come rappresentazione della vita e dei suoi protagonisti. Per il vero tifoso, i calciatori della sua squadra sono i cavalieri senza macchia e senza paura, che vanno in campo pronti lealmente a darle e a prenderle, a riconoscere l’avversario, a rispettarlo, ad affrontarlo con le sole armi della tecnica e dell’agonismo. A prevalere, se il merito vorrà che sia così. A soccombere, altrimenti, sempre disposto a uscire dal campo come un eroe perché ha fatto tutto il possibile. Consegnando ai suoi tifosi una lezione di vita ad ogni partita.

Volete un esempio? Siete i tifosi del West Ham, è il 16 dicembre 2000, la vostra squadra gioca contro l’Everton e Paolo di Canio gioca per la vostra squadra. Se non conoscete l’episodio, eccolo qui:

Immaginate cosa abbiano portato a casa i tifosi del West Ham per la loro vita di tutti i giorni e da questo capite cosa possa avere in cambio il tifoso da una partita di calcio. Per sempre e per la vita.

Provate tutti a vedere la prossima partita con gli occhi del tifoso di Eoo. Non perdetevela, è lo specchio della vita.

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