
‹La scienza non poggia su un solido strato di roccia.
L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall’alto, giù nella palude; […] e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido.
Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura.›
Popper K., Logica della Scoperta Scientifica, Einaudi, Torino, 1970, p. 108
Come si impara ad imparare? La filosofia della scienza godette di un ampio sviluppo sin dagli inizi del Novecento, complice l’avvento della fisica moderna.
Nel 1915, Einstein presentò la sua teoria della relatività generale e suggerì come il tempo fosse relativo, a seconda del sistema di riferimento. Al contempo, la legge di gravitazione universale di Newton si dimostrò un’approssimazione valida soltanto in condizioni di campo deboli e bassa velocità.
Impalcature antiche di secoli vengono smontate da teorie difficilmente dimostrabili, ma logicamente ferree. Si profila la via del dubbio, ossia il fulcro della scienza moderna.
Dal vero al falso
Il corso del Novecento sancisce la strutturazione del pensiero scientifico così come lo conosciamo oggi.
A inizio secolo, il Circolo di Vienna, gruppo di filosofi e scienziati orientati verso la riconsiderazione del ruolo della filosofia e della scienza, ebbe un ruolo fondamentale. Cosa è scienza e cosa no? Snodo essenziale fu l’ideazione del principio di verificazione (M. Schlick), contestato poi da K. Popper (1902-1994), frequentatore occasionale del circolo, a cui contrappose il criterio della falsificabilità.
Il Novecento vide così l’effettiva transizione dal: “Una proposizione è scientifica se verificabile” (Circolo di Vienna), al “una proposizione è scientifica se falsificabile”, ossia sottoponibile a controllo che possa smentirla.
L’ultimo citato è l’approccio della scienza moderna ancora in uso.
Un impianto dove nulla può essere detto vero definitivamente; un metodo che smette di cercare le evidenze per confermare una teoria ma in cui, al contrario, vengono sottoposte a una strenua lotta per la sopravvivenza, di stampo darwiniano: la teoria che resiste a più obiezioni, permane.
Ma perché conviene ragionare così?
Storia di un tacchino
“Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato”, A. Einstein.
Il noto scienziato tedesco aveva già evidenziato i limiti della procedura induttivista.
Questo tipo di ragionamento prevede l’ideazione di una regola universale, partendo dall’analisi di numerosi casi particolari. Bertrand Russell ce lo spiega bene, raccontandoci di un tacchino, che decise di formarsi una visione del mondo basata sulla scienza come intesa dai neopositivisti del Circolo di Vienna.
«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: “Mi danno sempre il cibo alle 9 del mattino”. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.»
(Bertrand Russell, 1912)
La metafora rappresenta efficacemente i limiti del precedente metodo di ragionamento induttivista, che, da Vienna al resto dell’Europa, influenzò in maniera marcata il metodo scientifico dei primi decenni del novecento.
Infatti, per quanti casi specifici si possano enumerare a prova di un’ipotesi, nulla può garantire che anche il successivo concordi con l’inferenza formulata. Le casistiche da esaminare per ogni singolo esperimento sono infinite per tipo e quantità: è impossibile esperirle tutte.
Insomma, solo perché il sole è sempre sorto, non è detto lo farà anche domani, come sintetizzò D. Hume nel XVIII secolo.
Commenti finali
Il Novecento fu un secolo determinante per la formulazione del metodo scientifico così come lo intendiamo oggi.
A K. Popper il merito di intuire e codificare il reale lavoro dello scienziato (da Galileo a Newton, Einstein, fino alla recente scoperta del Bosone di Higgs): ipotizzare teorie con forte valore predittivo, che non sempre sono verificabili al momento corrente.
La chiave della ricerca da allora e ancora oggi è il dubbio. Nulla è vero definitivamente: queste teorie rimarranno valide fino a che uno dei ripetuti controlli a cui sono sottoposte non le smentirà.
Conoscenza non è più accumulo di verità, bensì scarto di errori. Le teorie vanno, però, lanciate. Dopotutto, come detto da Novalis, poi ripreso da Popper: “…le teorie sono reti: solo chi le getta pesca”.
Similmente:
David Hume, Ricerca sull’Intelletto Umano
Thomas Kuhn, La Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche
Nassim Nicholas Taleb, Il Cigno Nero
Di Noemi Manghi
Bello leggere le radici del nostro pensiero… Interessante!