Agosto 1942, il conflitto mondiale imperversa e il mondo è diviso in due: gli Alleati e l’Asse.
Per le strade di Brooklyn un bambino con vestiti rattoppati cammina stringendo forte i pugni dove tiene, saldi, i nichelini con il volto di Jefferson – per lui è ‘quello del monte Rushmore’. Il sudore gli cola dalle mani come le cacate degli avvoltoi sulla roccia dedicata al presidente. Deve camminare a lungo, conta i tombini fumanti che incontra, una svolta a sinistra, poi una a destra e poi su per Hicks Street: da lì si vede il ponte.

I pugni si stringono sempre di più, a difesa del suo prezioso gruzzolo mentre attraversa Whitman Park -anche non si chiama ancora così – , avanza di qualche passo riprendendo l’asfalto ed eccolo al traguardo. 
Varca la soglia di una piccola edicola, l’unica nel raggio di svariate miglia, con la gioia stanca di un maratoneta all’arrivo: “Detective comics, grazie”

È il numero 66 e fa la sua prima comparsa Due Facce, il nemico più temuto di Batman: quello che “O muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo”. La trasposizione a fumetti del dualismo bene e male, un Jackill & Hyde che incapaci di alternarsi, si trovano a condividere gli zigomi in compresenza. 
Lanciava una monetina per decidere – per non decidere. Ricordo Javier Bardem nella famosa pellicola firmata fratelli Cohen: “Qual è la cosa più grossa che hai perso a testa o croce?”. 

Febbraio 2023, la guerra imperversa, divide, ma ancora non si chiama conflitto mondiale.
Nelle campagne fuori Sydney un bambino in pigiama corre per tutta la casa stringendo forte i pugni dove tiene, salda, una chiave metallica, una di quelle con tutti i ghirigori sull’impugnatura. Il sudore gli cola dalle mani come gocce dalle ferite degli ultimi ghiacciai in Groenlandia.

“Mamma, mamma, la soffitta” grida, vuole tuffarsi nelle vecchie cose accantonate in decine di scatoloni, dimenticate di anno in anno, racconto di vite passate. La mamma tira una cordicella che pende dal soffitto e le scale appaiono in un istante – è proprio una magia.

Ad ogni loro passo, il parquet del pavimento scricchiola, come un corpo che ha dormito per troppo tempo.
Deve solo scegliere quale cartone scoprire, quale sfera di cristallo interrogare per aprirsi un varco verso un mondo a lui finora sconosciuto. Soffia sulla superfice del più grosso e impolverato – scontato per un bambino – e una nube degna di un romanzo di Stephen King ingurgita l’intera area. Ne emerge piano piano una scritta oramai sbiadita dal tempo “Nonno John”.Viene autorizzato a prelevare un solo oggetto. 
Catturato dall’ansia smuove in maniera sbrigativa il contenuto di quella scatola dei segreti e sceglie, “Detective comics, grazie”.

81 anni, pigiati in una mezza pagina di word, come uva nei tini – scritti con i piedi insomma. Tutto questo significa Globalizzazione, e non sembra ci sia qualcosa di male. Se non fosse che qualche lancio di moneta è andato storto, se non fosse che qualcuno – e più che un boss della mafia di Gotham City, immagino un marito geloso – ha trovato dell’acido in saldo su Amazon, forse la globalizzazione sarebbe rimasta tale, invece che finire, oramai sfigurata, a dimenticarsi della Giustizia Sociale, l’altra faccia della medaglia.

Di Antonio Floriani

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