La sostenibilità è un obiettivo che oggi domina la quasi totalità di riflessioni, investimenti e dibattiti politici: dalla gestione dei rifiuti alle innovazioni energetiche i passi del mondo sono scanditi dal tentativo di tutelare le risorse, il clima e la biodiversità.

Proprio quest’ultima rappresenta le fondamenta della vita: varietà e variabilità, potenzialmente infinite, hanno creato l’eden omeostatico che noi chiamiamo Terra. Poi siamo arrivati noi.

Carichi di un complesso di inferiorità – questo il nostro peccato capitale – abbiamo cercato di dimostrare la nostra forza dominatrice senza renderci conto che volevamo diventare sovrani di noi stessi – e altrettanto schiavi.

La biodiversità che oggi cerchiamo di ritrovare, più che tutelare, ha un ruolo essenziale nei confronti della nostra salute: ci fornisce acqua dolce, aria pulita e costituisce un immenso tesoro per i nostri sensi. Milioni di specie sono sotto scacco di un’estinzione innaturale, non necessaria ed estremamente prematura.

Piani direttivi giungono dalle organizzazioni mondiali più rilevanti per interrompere questo ciclo vizioso e restaurare l’equilibrio che abbiamo rotto in uno Spannung proprio del furto del vaso a Lisabetta nella novella Decameroniana.

Spesso dimentichiamo che anche noi siamo parte e frutto del mondo in cui viviamo e che, per ovvie ragioni – vittime anch’esse di dimenticanza – sottostiamo alle sue regole, tra cui la diversità.

Dato lo sviluppo che il nostro esserCI ha raggiunto non possiamo saziarci di una bio-diversità e si sente la necessità di allungare l’ala di questo nuovo istinto protettivo verso la nostra vera figlia: la cultura.

La giornata mondiale della diversità culturale, il dialogo e lo sviluppo esprime esattamente questa tensione positiva, ma la convivenza pacifica di linguaggi, credenze, tradizioni rischia di essere sempre più un’utopica rappresentazione Campanelliana.

Per ritrovare l’equilibrio del racconto vita dobbiamo ritrovare la consapevolezza che noi siamo – ontologicamente – in virtù dell’altro.

La nostra identità nasce dal riflesso che produce negli occhi dell’altro. L’Io nasce dal non-tu. Non può esistere una definizione di noi stessi che prescinda le leggi di diversità e pluralismo e la mitologia greca interviene a spiegarci cosa succede se si tenta di riconoscersi e adorarsi nello specchio d’acqua d’un lago.

Il 21 maggio forse è proprio questo, una giornata anti-narciso, istituita per ricordare la meraviglia, ma soprattutto la necessità, del rispetto e della promozione di tutte quelle caratteristiche che ci rendono diversi e, in quanto tali, vivi.

Non basta un nome a definire chi siamo, non basta un volto per renderci unici. Ogni giorno lottiamo perché venga riconosciuta la nostra specificità e per questo abbiamo – in termini utilitaristici forse è più efficace – bisogno dell’altro.

Alterum non laedere. Seconda legge di diritto per Ulpiano, giurista romano del II secolo, integrata successivamente nel Digesto di Giustiniano I. Qualche secolo è trascorso, ma la lectio magistralis non è ancora stata compresa.

A cura di Antonio Floriani

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