
Gianni Brera, giornalista barocco, peggio rococo, peggio ancora: già dimenticato, deglutito, digerito dal tempo e dalle logiche giornalistico sportive alla Caressa. Più in generale, del logorio della vita moderna (NDR citazione dalla vecchia pubblicità dell’aperitivo Cynar, quando Ernesto Calindri, attore di vecchio corso, sedeva ad un tavolino, in mezzo al traffico e, sorseggiando la bevanda al carciofo con un bel sorriso diceva “Aperitivo Cynar, contro il logorio della vita moderna”).
Dicevamo Gianni Brera: anche scrittore, anche giornalista, ma giornalista sportivo in particolare, di calcio ancora più in particolare. Prima di tutto una scuola di linguaggio, condita da tanti neologismi che lo hanno reso famoso. Re della parola, della fuffa, si può dire, ma quanto bella ed appagante se racconta ed affabula.
Se ti tiene legato e alla fine dell’articolo ti fa dire che esisteranno anche i professionisti del pragmatismo, che piacciono ai più; ma per fortuna ci sono professionisti del nulla etereo, che di pragmatismo hanno solo il sostegno, tangibile, quasi inutile alle belle belle anime. Ti riempiono della bellezza del nulla, della leggerezza, l’impossibile cifra della nostra vita.
Libero pensatore, libero e basta, il giornalista che finito l’articolo si rifugiava nei ristoranti con gli amici, dove fino a tarda notte il vino scorreva per dare spessore alle sue iperboli. La gazzetta dello Sport, il Giorno, il Guerin Sportivo, oltre ai ristoranti, le sue palestre. Per gli amanti degli schemi a numero di oggi, amante dichiarato del catenaccio, unico schema calcistico capace di esaltare la nostra indolenza fisica e la scaltra intelligenza: difesa e ripartenza la sua visione di calcio, difesa a spada tratta, e corse liberatorie di contropiede.
Questo lo gettò in polemiche e contrasti, a volte persi, sulle visioni del pallone, metodi e uomini. Memorabile la scommessa persa con la vittoria dell’Italia ai mondiali dell’82, in particolare contro lo schema Bearzot, ovviamente di visione opposta alla sua. Dovette andare a piedi scalzi ad un santuario, questo il pegno per avere previsto la catastrofe dell’Italia ai mondiali di Spagna. Senza dimenticare la scarsa stima per Sacchi e Rivera.
D’accordo o no, i suoi articoli comunque sono li. Da leggere per riempire i propri occhi di niente , se non parole, ma che parole.
Per darvi un’anticipazione, tifoso del Genoa, la prima squadra costituita in Italia, così chiosava: “Quando Il Genoa già praticava il football gli altri si accorgevano di avere i piedi solo quando gli dolevano.” Ah no? . Il giornalista sportivo che era, adattò in questo ambito la capacità letteraria dell’italiano. Entrate nel gergo sportivo e, come dicevo, digerite senza rendere onore e memoria al loro innestatore, a lui si deve l’adattamento di queste parole al mondo sportivo, con creativa innovazione:contropiede, centrocampista, pretattica, melina, goleador e la indimenticabile Eupalla, la Dea del calcio.
Ritengo sarebbe giusto, giornalisticamente rendergli un preventivo onore su ogni discussione che abbia ad oggetto il calcio: una sorta di preghiera introduttiva al nostro Gianni, per ricordarci che si possono dire stronzate, tante, parlando di uno sport, il calcio, che è una grande stronzata, calciare un pallone: ma con classe colta e leggerezza. Perchè di stronzate si può anche vivere e non solo di teoremi ad alto valore aggiunto.
Intanto ecco una carrellata di sue…..stronzate. Piloole. Buona lettura.
“Gli imperativi categorici del calcio sono: primo non prenderle (oh yes, sir); centrocampo dotato di fondo atletico; punteros (due o meglio tre) agili e coraggiosi. Se tutto il gioco d’impostazione lo fai fluire al centro, riduci l’angolo piatto del fronte (180°) a un angolo inferiore a 90°. E le signore punte fanno il piacere di rientrare – dopo ogni azione – al centrocampo.”
“Esiste in Italia una squadra che gioca come il Brasile, che profuma di cibo genuino e campi in fiore. Una squadra che, però, non è brasiliana: si chiama Avellino. Questa squadra gioca al calcio magistralmente, senza sentirsi inferiore a nessuno e senza mostrare nessun borioso senso di superiorità. Umile ed operaia, e nello stesso tempo nobile, come solo i veri aristocratici sanno essere. Questa squadra, l’Avellino, è la più bella realtà del calcio di provincia della storia italiana. (1980)»
“Pelé, vede il gioco suo e dei compagni: lascia duettare in affondo chi assume l’iniziativa dell’attacco, scattando a fior d’erba, arriva a concludere. Mettete tutti gli assi che volete in negativo, poneteli uno su l’altro: esce una faccia nera: un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti.”
“Scrivo di Calcio da oltre mezzo secolo. Molti che scrivono usano tranquillamente i modi miei ma non se ne accorgono affatto; vedono il Calcio con occhi miei ma si guardano bene dall’essermi riconoscenti. O se lo sono… non me lo danno a vedere.”
“Parliamo allora di Calcio, non di bubbole isteroidi. I bravi messicani sono impazziti a vedere italiani e tedeschi incornarsi con tanto furore. Adesso fanno i loro ditirambi. Pensano di apporre una lapide all’Azteca. Sarei curioso di leggere e magari di veder fallire in altri la voglia di poetare ore”
“ La Juventus non è una squadra, è un fenomeno sociale! La nobiltà le viene dagli anni, più giovane di poco ad altri club di Torino troppo esclusivi per non morire di solitudine. Il Duca degli Abruzzi esprimeva plus-calore con altri nobili che presto si vergognarono dei propri slanci plebei. Il Calcio squalificava socialmente in Gran Bretagna e Scandinavia, dove era localizzabile l’élite della nuova religione sportiva. Borghesi ancora ignari unirono i propri estri snobistici chiamando pedissequamente Juventus la loro prima collusione pedatoria”
“Può succedere che una partita venga dilatata a saga, a poema epico, e che ogni suo episodio si colori come nessuno avrebbe mai pensato assistendovi o addirittura prendendovi parte. Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso, non compatito; e va magari invidiato, non deriso. Il calcio è davvero il gioco più bello del mondo per noi che abbiamo giocato, giochiamo e vediamo giocare”
“Il calcio costituisce oggi con la musica leggera il solo sfogo dinamico e culturale d’una popolazione nelle cui vene è ormai dubbio che perdurino molti globuli ereditati dai santi e dagli eroi, dai navigatori e dai martiri ai quali si rifà graziosamente la storia imparata a scuola”
“Maradona è la bestia iperbolica, nel senso infernale, anzi mitologico di Cerbero: se fai tanto di rispettarlo secondo lealtà sportiva, lui ti pianta le zanne nel coppino e ti stacca la testa facendola cadere al suolo come un frutto dal picciolo ormai fradicio. È capace di invenzioni che forse la misura proibiva a Pelè, morfologicamente irregolare nei soli piedi piatti, peraltro funzionali nella bisogna pedatoria. Maradona è uno sgorbio divino, magico, perverso: un jongleur di puri calli che fiammeggiano feroce poesia e stupore (è dei poeti il fin la meraviglia). Talora uno dei suoi piedi serve fulmineamente l’altro per una sorta di paradossale ispirazione atta a sorprendere: ma quando vuole, questo leggendario scorfano batte il lancio lungo che arriva, illumina, ispira: capisci allora che i ghiribizzi in loco erano puro divertissement: esibizione per i semplici: se il momento tecnico-tattico lo esige, in quelle tozze gambe animate dal diavolo entra solenne il prof. Euclide. E il calcio si eleva di tre spanne agli occhi di coloro che, sapendolo vedere, lo prediligono su tutti i giochi della terra.“
“Baresi II è dotato di uno stile unico, prepotente, imperioso, talora spietato. Si getta sul pallone come una belva: e se per un caso dannato non lo coglie, salvi il buon Dio chi ne è in possesso! Esce dopo un anticipo atteggiandosi a mosse di virile bellezza gladiatoria. Stacca bene, comanda meglio in regia: avanza in una sequenza di falcate non meno piacenti che energiche: avesse anche la legnata del gol, sarebbe il massimo mai visto sulla terra con il brasiliano Mauro, battitore libero del Santos e della nazionale brasiliana 1962“„