Nato a Stagira – allora Macedonia, attuale Grecia nord-orientale – nel 384 a.C., la già riconosciuta fama di Aristotele crebbe con il passare dei secoli. Durante il Medioevo, per riferirsi al consigliere di Alessandro Magno bastava menzionare “il Filosofo” e Dante lo citò come “ ‘l maestro di color che sanno” nella Commedia. La sua autorità ricopre un vastissimo rango di studi: dalla metafisica, alla politica, alla logica. Il Filosofo, incline alla catalogazione, esaminò tutti gli ambiti del sapere e suddivise le scienze in teoretiche, pratiche e poietiche. Sed tempus fugit e il tema di quest’occasione trae le sue argomentazioni dalle scienze pratiche, in particolare dall’etica. 

Tra le tre opere del Filosofo dedicate all’etica – l’Etica Eudemea, la Grande Etica e l’Etica Nicomachea – solo quest’ultima esula da un ambito di studio prettamente scolastico, fornendo una ricetta per una buona vita, che viene discussa e applicata ancora oggi.

UN FILOSOFO IMMANENTE

Non è un caso se la storia della filosofia viene spesso divisa tra Platonici e Aristotelici. Ne La Scuola di Atene, Raffaello dipinge Platone con l’indice proteso verso l’alto: per il maestro, la verità del mondo fisico che percepiamo risiede altrove, in una dimensione metafisica, dietro o al di là delle apparenze fisiche.  Aristotele era un filosofo molto più terra terra. E’ oggetto d’interesse come noi vediamo il mondo, come lo comprendiamo, servendoci necessariamente dei cinque sensi. Nei ragionamenti sulla condotta dell’essere umano, la sua filosofia etica integra inoltre due elementi principali, imprescindibili per una buona vita: la felicità e la virtù. 

In poche parole,

la felicità deriva dall’esprimere ciò che abbiamo razionalmente deciso sarà buono per noi nel lungo termine. La felicità non è piacere, bensì un sottoprodotto di una vita significativa.

 VERSO L’EUDAIMONIA

“La sua concezione della felicità è integrale o umanistica, in quanto investe l’uomo nella sua interezza”

E. Berti (1935 – 2022)

Eudaimonia, ossia letteralmente “essere in compagnia di un buon demone”.

Che per vivere una buona vita sia necessaria la felicità, non pare una gran scoperta. Ciò che rende l’etica aristotelica così affascinante ancora ai giorni nostri è la tipologia di felicità che il Filosofo ci esorta a ricercare, e la ricetta fornita per raggiungerla.

Il significato di eudaimonia non si esaurisce con “felicità”; è qualcosa di più pervasivo, che avvolge la totale vita di un uomo. E’ lo “stare bene”, la prosperità, l’autorealizzazione. 

Qual è lo stile di vita da perseguire per ottenerla, allora?

LA VIRTU’ 

Premessa fondamentale dell’etica aristotelica è considerare l’uomo come anzitutto un essere razionale. 

Se il nostro compito fosse solamente crescere e invecchiare, questo ci renderebbe uguali a una pianta; se fosse solo vedere, sentire o annusare, quale differenza con un bue o un cavallo? 

Ciò che ci rende unici, per Aristotele, è l’abilità di agire secondo ragione e organizzare la nostra vita in base ai princìpi e valori che ci siamo costruiti. In quanto esseri razionali, arriveremo alla nostra forma più alta di felicità seguendo le scelte fatte attraverso la ragione. 

L’AZIONE

Per raggiungere l’eudaimonia, dunque, occorre elaborare cosa è meglio per noi nel lungo periodo e nel seguire quel tracciato la felicità arriverà di conseguenza, come sottoprodotto. 

Tuttavia capire non basta; anche l’azione è importante.

Differentemente da Platone – il mero apprezzamento della virtù è sufficiente per rendere una persona virtuosa – per Aristotele una buona vita è una vita di virtù espressa in azione. La forma più genuina di felicità si ottiene attraverso il lavoro su noi stessi e sui nostri obiettivi, attraverso il tempo.

Aristotele ci dice anche altro: la felicità quindi non è qualcosa di predeterminato da divinità o dal Fato; bensì è pienamente nelle nostre facoltà raggiungerla, conducendo una vita basata su virtù, attraverso lavoro, costanza o studi.

“Si diventa costruttori costruendo, e suonatori di cetra suonando la cetra. Ebbene, così anche compiendo azioni giuste diventiamo giusti, azioni temperate temperanti, azioni coraggiose coraggiosi.”

[Aristotele, Etica Nicomachea, libro II]

L’apice della felicità è infine la realizzazione personale, e si può dire tale quando l’individuo ha una vita stabile nel coltivare i suoi ideali, senza cime o baratri, e rende i capricci della sorte irrilevanti.

Insomma, una buona vita è una vita secondo virtù, espressa in azione.

LA FELICITA’ INTERNA LORDA. ARISTOTELE OGGI

Si è parlato circa la perenne attualità dell’Etica Nicomachea. E’ curioso considerare come oltre a quell’opera in senso stretto, anche le considerazioni sull’uomo come cittadino, la politica aristotelica, siano ancora punto di riferimento.

Pare di moda al giorno d’oggi per i governi occuparsi della “Felicità Interna Lorda”, oltre che del mero rendimento economico. Considerazioni sulla buona vita e sull’eudaimonia sono tuttora prese come riferimento dagli esperti, in modo da guidare l’elaborazione di politiche che potrebbero generare la maggior felicità per il maggior numero di persone.

Intento encomiabile, ma è realmente possibile fornire prescrizioni per la felicità individuale? Come insegnato da Aristotele, questa dipende ed è prodotta dall’autorealizzazione dell’individuo, e ciascuno ha un diverso cammino di vita, basato sul proprio potenziale da realizzare.   

Alla fine, piuttosto che focalizzarsi sulla felicità per se stessa, la nostra sfida dovrebbe essere perseguire la vita più densa di significato per noi, e facendo ciò, la felicità seguirà naturalmente. 

Se sentiamo che stiamo agendo per realizzare il nostro compito più importante, sarà difficile non sentirsi felici.

Similmente:

Hannah Arendt, Vita Activa. La Condizione Umana

Epicuro, Lettera a Meneceo

Platone, La Repubblica

Bertrand Russell, La Conquista della Felicità

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