
Il 18 aprile alle 10 e 54 ero in cima alla Marmolada. Come ogni anno la mia gita scialpinistica preferita.
Salendo l’anno scorso con una seggiovia a due posti, commentavamo come non ci sia bisogno di impianti spaziali per salire in Marmolada. È un brand: se ci fosse, la gente salirebbe anche con uno skilift ai 3.300 metri di Punta Rocca.
La fatica per un paradiso. Fino a domenica scorsa, la sensazione protettiva della montagna amica. Accogliente, fedele, dispensatrice di gioie alpinistiche nonostante la si maltratti. Ah Marmolada mia!
Domenica sera un colpo brutale all’approccio ottimistico di tutti quelli che, come me, pensano che il buon senso avrebbe comunque sempre prevalso. Sarà che la notizia teneva il mondo delle informazioni insieme alla crisi idrica, alla guerra eda tutti i corollari. Il colpo alla mio essere positivo cronico è stato quasi letale.
Non so se mi risolleverò più ritrovando una visione di prospettiva per il futuro da lasciare ai miei figli e nipoti. Dopo quasi una settimana la montagna è chiusa, la natura off limit, i corpi vengono ritrovati. Che tristezza. Ma prima o poi spero che ancora una volta noi tutti su questa disgrazia possiamo ritrovare il naturale ottimismo, la voglia di vincere le proprie malsane abitudini per un pezzo di Marmolada di nuovo domata e in sicurezza.
Chissà se Aprile mi ridarà il sorriso di una nuova risalita. Nel frattempo, ho ripreso a lavarmi i denti tenendo l’acqua chiusa mentre li spazzolo, a tenere sempre un occhio vigile sull’uso delle luci e “tanto poco” di altro, che “tanto tanto tanto” possa diventare se è somma di tanto “tanto poco” di tanti.