Celebriamo il giornalista di guerra.

Quello sfigato, che ogni tanto ci lascia le penne e che la sensibilità dei più affianca alla sorte del pilota di Formula 1: lo sapeva, ha scelto uno sport pericoloso, conscio di quali possano essere le conseguenze di tale scelta. Dimenticando che senza di loro probabilmente le guerre sarebbero territori dimenticati e vicende non così limpide.

Il giornalista di guerra ci fa superare la soglia della semplice esistenza della notizia della guerra. Ci porta nei conflitti, anche quelli più lontani da noi, non per semplice chilometraggio, lontani dalla nostra percezione e sensibilità: guerre a volte dimenticate da Dio e dagli uomini, riportate all’attualità. Il giornalista di guerra, in ultima analisi, ci ricorda che ogni guerra è patrimonio di tutti gli uomini.

Non patrimonio virtuoso, ma fardello per le nostre coscienze, sfregio alla nostra presunta genialità e alle vette alle quali gli uomini spesso arrivano. In questo senso la guerra vanifica tutto il nostro saper dire e fare di buono. Il giornalista di guerra ci porta nelle remote lande di situazioni e di uomini disperati. Lancia un grido all’umanità, che spesso, se non sistematicamente, gli uomini fanno cadere, lasciando che i crudi fatti nella loro accezione innaturale prendano il sopravvento. E qualche volta, come dicevamo, ci lascia pure le penne.

Mi sono domandato cosa possa muovere a questa professione. I soldi? non credo, non ho mai visto la busta paga di un giornalista di guerra, ma non credo che la remunerazione sia direttamente proporzionata alla quantità di rischio. La fama? sfido chiunque di voi a mettere in fila sui due piedi 4 o 5 nominativi di giornalisti di guerra. La risposta allora è diversa: l’amore per la verità dei fatti. Con una necessaria precisazione. La presenza dei giornalisti di guerra nelle trincee spesso ha rappresentato la volontà di raccontare certe verità e non altre.

Sicuramente noi propendiamo per il giornalismo di guerra non al soldo di questa o quella fazione. Ma come possiamo, a prescindere dal fatto che un giornalista di guerra possa schierarsi, non esaltare un uomo che comunque mette la sua vita nelle mani del caso per raccontare una guerra? Questa grandezza, a mio parere, prevale anche sul fatto di essere di una o altra parte del conflitto. Il giornalismo di guerra è eroico in assoluto. È la guerra in sè a essere sbagliata.

Per un breve excursus storico: la professione non è un’invenzione dei nostri tempi. Erodoto e le sue Storie vengono da lontano. Ma lo sviluppo di questa presenza in campo si ha con la Rivoluzione Francese. Per questioni più domestiche, ricordiamo che i primi inviti di guerra sono al seguito delle truppe coloniali. Luigi Barzini fu un precursore che superò, per fama e modo di interpretare la professione, anche i confini nazionali. Ora potremmo darvi conto, per il tramite di una sterile elencazione, di giornalisti e guerre fino a oggi. Lo evitiamo, e invitiamo tutti voi alla ricerca, per stimolare la curiosità, se tale si è palesata dopo la lettura di queste poche righe. Io, per scelta, mi limito a citare i miei eroi tutti italiani, alcuni dei quali ancora in vita: Oriana Fallaci, Ettore Mo, Ilaria Alpi, Milan Hrovatin, Ennio Remondino, Toni Capuozzo, Maria Grazia Cutuli, Tiziano Terzani, Ennio Colavolpe, Giuliana Sgrena, Enzo Baldoni, Gian Micalessin, Fausto Biloslavo, Almerigo Grilz.

Forse ne ho dimenticato qualcuno, mi perdonerà, ma spero traspaia la mia riconoscenza per la categoria. Detto ciò vorrei, perchè sono arrivato ad averlo in mano due giorni fa, dopo averlo fagocitato nella notte, consigliarvi un bel libro di uno di questi pazzi scriteriati, ascrivibili alla categoria degli aspiranti suicidi, alias giornalisti di guerra. Alberto Negri, inviato di guerra come specialità per diverse testate. Vorrei che idealmente li rappresentasse tutti, perchè mette in evidenza quale sensibilità nasca dalle circostanze vissute come reporter di guerra. Il libro, “Bazar mediterraneo” GOG EDIZIONI.

Grande la pienezza e la sensibilità delle cose che ci racconta, frutto non casuale di quanto questo particolare mestiere ti scateni come approccio emotivo ai fatti. Reporter e scrittore si confondono per raccontare le zone più calde della geopolitica mediterranea; storie, aneddoti, narrazioni di uomini e donne, intimità. Il Mediterraneo, il nostro mare, quello che a volte percepiamo come un Mediterraneo che noi riteniamo non essere più nostro, diverso da noi. Per questo rassegnatamente lontano dal nostro benessere, ma comunque a un tiro di schioppo.

Chissà, forse dovremo stimolare con più forza qualcuno a dare stabilità a queste zone. Evitando così di scannarci sulle politiche di immigrazione. Ma questo è un altro tema. Un’altra storia che prima o poi Eoo racconterà.

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