Progresso e Pace, che strano rapporto: una convivenza forzata per mancanza di spazio.

Lui libero professionista incatenato a se stesso, lei casalinga – e più di tutto, mamma. Lui, tornato a casa stanco, si trascina abbandonando i panni sporchi sul pavimento, quasi a coprirlo, come se la nudità di quel parquet lo spaventasse e impietosisse allo stesso tempo – e così la sua incuria si veste di una lucente umanità.

Ecco un calzino mutare la sua essenza, trasformarsi in una sciarpa di pregiato cashmere e avvolgersi attorno al collo di un bambino che troppo spesso ha dovuto arrangiarsi da solo: piccole braccia impacciate che cercano di sconfiggere i freddi venti baltici della solitudine. Lei quello stesso parquet lo spoglia, con la grazia di una donna che fa lentamente scivolare il vestito, regalandoti il disegno sensuale del suo corpo. Il rombo che produce è però assordante, di una corazza sganciata che piomba ai piedi del guerriero, rivelando alle candele i lasciti di un’eterna battaglia. 

Lui, insetto intrappolato nell’ambra di una conifera, capace di irradiare il mondo intero restando tuttavia immobile, fossilizzato in un’inconscia nostalgia, mentre la sua inaccettabile paralisi costringe all’illusorio miraggio di brevi convulsioni, velando in una nebbia opaca la consapevolezza dei suoi limiti. Immersa in questa nebbia, lei solca i suoi mari, serrando le palpebre a difesa delle sue preziose iridi, dove le acque del Mar Nero urtano quelle del Mar Baltico creando un invisibile e armonica entropia di confine.

Lui spinge, lei chiama. Due forze cosmiche indispensabili, spalle di Atlante in grado di sorreggere i passi insicuri di un piccolo mondo in crescita. Lui, capace di un’aberrante sordo-cecità integrale, si costringe alla relazione tattile, a volte esagerando l’intonazione delle sue carezze, e lei, maldestra nell’inganno egoistico svela al primo sguardo i trucchi del suo spettacolo d’amore. 

Pace e Progresso, in una casa di sassi condividono la visione di un reportage.
Lui si svigorisce sulla poltrona accanto alle scale, senza lasciarsi confondere dalle voci metalliche che fuggono dallo schermo come spettri di un’altra realtà, assume pose remissive riuscendo a non scalfire però la sua aura egemonica intiepidita dallo sfrigolio dorato della legna nel camino.
Lei, deve coprire la friabile pelle delle sue mani con candidi guanti di cotone, mentre si arma di ago e filo e tende la trama di un ricamo – una Penelope che aspetta il ritorno del suo Ulisse, distante una seduta, ma irraggiungibile.
Lui Odisseo, Lui i proci, Lui Poseidone, Lui Alcinoo. Lui, che risalito su una nuova nave, si prepara a vivere le pagine conclusive dell’opera. Ed eccolo, pronto a tornare, vestito un’ultima volta di stracci, per sguainare l’arco e ricoprire il suolo di Itaca con il sangue dei suoi errori.

Cambiati gli abiti e ripreso il loro amore, Pace e Progresso daranno vita a Sviluppo e Concordia: fratelli destinati a guardarsi le spalle a vicenda nel torbido gioco della storia.

Di Antonio Floriani

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *