Formula Uno, laboratorio di sperimentazioni ardite che riescono a garantire progresso agli utilizzi quotidiani delle nostre auto. C’è Ernest Shackleton: tranquilli, non vi siete persi niente. Non è un astro nascente dell’automobilismo.

Premessa. Si verificano segni del destino che a volte tracciano parabole astrali quasi magiche. Con meno enfasi, incrocio la notizia della partenza dal Sud Africa di una missione scientifico archeologica alla ricerca di Endurance, la nave di (mistero svelato, era un comandante ed esploratore inglese) sepolta nei ghiacci dell’Antartide, di cui parlerò a breve. Mi incuriosisce e decido di conoscerne la storia, a me ignota. A pezzi e bocconi, durante la settimana mi ci dedico, sono pronto oggi per scrivervi la mia visione.

E (uso tutta le presunzione che mi viene) anche il Foglio pubblica la storia della missione, meglio la straordinaria storia collegata alla missione. Che a me ha fatto concludere della sua assoluta attinenza tra il mondo della Formula Uno e Shackleton. In che modo? Ecco la storia. Nell’agosto del 1914 Endurance salpa da Plymuth: un centinaio di anime tra cani (70) e uomini per garantire a Sheckleton l’attraversamento dell’Antartide, impresa già dallo stesso tentata in passato e fallita. Il 21 novembre 1915 l’impresa è già fallita ed Endurance inghiottita dal ghiaccio. Nessun morto, l’affondamento è lento e inesorabile. Le riprese cinematografiche sono da vedere. Ma la storia non finisce lì: viceversa, il fallimento è la molla di qualcosa di incredibile che sintetizzo (Il tutto peraltro raccontato dallo stesso Sheckleton nel libro “Sud”).

Nell’ordine: Shackleton, dopo l’affondamento dell’Endurance, fece trasferire uomini, cani e scialuppe sulla banchisa ove costruì un accampamento raccogliticcio, chiamato “Ocean Camp”. Successivamente, è sempre a motivo della pericolosità del ghiaccio, trasferì il campo, trainando tre scialuppe di salvataggio, su un’altra parte della banchisa. All’arrivo dei tempi dello scioglimento del ghiaccio, aprile 1916, con i suoi uomini tentò di raggiungere, a bordo delle scialuppe, l’isola Elephant.

Erano trascorsi 498 giorni dall’inizio della spedizione. Shackleton, razionalizzando le possibilità di essere visti da qualcuno prossimo allo zero, decise di raggiungere, in cerca di aiuto ed utilizzando la scialuppa in condizioni migliori, l’isola Georgia del Sud (distante circa 1.600 km) insieme a cinque uomini. Era il 24 aprile e dopo 15 giorni di navigazione, tra meteo e mare in condizioni inumane (non sul Lago di Garda ma in Atlantico su una scialuppa), raggiunsero l’isola. Non era finita: peccato fossero arrivati dalla parte sbagliata dell’isola. Mancavano “solo” 36 ore ed attraversare 30 miglia di montagne e ghiacciai inesplorati della Georgia del Sud per raggiungere la parte dell’isola abitata, Stromness, stazione di balenieri, situata sull’altra costa dell’isola. Era il 20 maggio e da lì Shackleton organizzò il soccorso degli uomini rimasti sull’isola di Elephant. Dei circa 30 uomini della spedizione, nessun morto nessun disperso. Tutti recuperati.

Ora, ricostruite i fattori del racconto che vi ho proposto per ragionare insieme. Formula Uno, Shackleton: che laboratorio di tecnologia della resistenza umana ci ha tramandato quest’uomo. Da un fallimento (era partito per attraversare l’Antartide) ha confezionato un trattato di resistenza umana che deve essere forzatamente tramandato a tutti noi. Tramandato perché deve essere chiaro che ciò che la resistenza umana può, sostenuta dalla forza di volontà, ha limiti che a noi stessi sfuggono. Per mantenere il motore della forza di volontà rodato, dovremmo più spesso utilizzare questi racconti, veri laboratori, stile Formula Uno.

Esempio esagerato Sheckleton, ai limiti della praticabilità nel nostro vissuto quotidiano, ma appunto e in relazione alle nostre difficoltà quotidiane, esempio tutto da approfondire quale stimolo allo sviluppo di questa capacità insita nel nostro carattere, ma troppo, e spesso comodamente, accantonata nei nostri modi di affrontare situazioni complicate della nostra esistenza.

Peccato che troppo spesso trame alla Sheckleton siano, immotivatamente, oscurate. Ma si sa, la Formula Uno è uno sport pericoloso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *