Heather Parisi ha rilasciato un’intervista ad un programma TV circa la scelta, fatta qualche anno prima, di cercare una nuova maternità a 50 anni. Ha raccontato delle difficoltà, della necessità di tenere a bada le paure, delle scelte difficili da compiere e per fortuna, con risultati positivi. 

Non è mia intenzione giudicare, grazie a Dio alla scienza ed alla natura viviamo in un mondo libero. Leggendo di quell’intervista su un rotocalco, mi sono persa però in una riflessione.

Quando si parla di maternità, molto spesso la si lega al periodo della gestazione e forse poi dello svezzamento. Non oltre. A volte ho l’impressione che si pensi che l’essere madre coincida con “la maternità” lavorativa, cioè quel periodo di astensione dal lavoro, più o meno retribuito, concesso dall’INPS alle lavoratrici dipendenti, e concordato con il datore di lavoro.

Ma la maternità, l’essere madre, non si esaurisce certo lì. Quello è solo l’inizio e, se tutto va bene, probabilmente la parte più semplice.

La maternità è un processo…no. Un lasso di tempo… no. La maternità è uno stato, quello in cui si ritrova una madre dopo aver concepito un bambino. Uno stato che durerà per la restante parte della sua vita. La maternità è un modo di essere, un modo di vivere, un percorso a senso unico, perlomeno una volta abbracciato.

Quindi ok, una cosiddetta maternità tardiva presenta tante incognite, difficoltà e ostacoli durante la gestazione. Ma dopo? Non penso si possa dire che le madri ultraquarantenni affrontino questo percorso allo stesso modo delle madri più giovani. 

Certamente viviamo in un mondo fatto di “giovani cinquantenni”, in cui appunto gli adulti di mezza età vivono come i trentenni di qualche anno fa, godono spesso della stessa prestanza fisica, si concedono le stesse cose, gli stessi svaghi, la loro pelle e il loro fisico non mostrano certo i segni dello scorrere del tempo come avveniva per la generazione precedente o quella dei loro nonni. Un mondo in cui l’invecchiamento sembra giungere sempre più tardi, ma spesso quando giunge è molto più rapido ed inesorabile di un tempo. 

In questo contesto è normale che nei primi 20 anni del 21° secolo la quota di nascite da madri con più di quarant’anni sia più che raddoppiata, come dicono i dati Istat. Normale, forse non naturale, ma normale in un mondo in cui le donne devono sudare 3 volte tanto per dimostrare di meritare la metà dello stipendio degli uomini. In cui una donna, per fare carriera, impiega diversi anni in più di un uomo e solo quando ha un contratto sicuro, con uno stipendio degno, può permettersi di dichiarare il suo desiderio di maternità. 

Ma come dicevo, dubito che il percorso successivo alla nascita sia lo stesso per le madri ultraquarantenni e le più giovani. E questo lo posso dire, anche se io sono arrivata a diventare madre a 39 anni, fuori dal podio per un pelo!

Ad esempio, è ormai risaputo che l’Italia è un po’ il fanalino di coda quando si tratto di aiuti alle famiglie. Non solo non ci sono molti sussidi, ma mancano anche le strutture, quali ad esempio gli asili nido, per supportare le famiglie lavoratrici. Ecco che i più fortunati ricorrono ai nonni, ma se si diventa genitori dopo i 40 è possibile che i nonni non abbiano più un’età che permetta loro di correre a dietro a dei trottolini fulminei, di sollevare pagnotte da 20 kg o correre tra scuola, palestra, musica e feste di compleanno. Inoltre, i nonni potrebbero anche decidere di aver già dato e di volersi godere quegli anni di vita che ancora restano loro e soprattutto alla loro prestanza fisica. Ecco che quindi ci troviamo a dover eliminare la carta nonni. Ovvio che gente come la Parisi non conta certo sul loro ausilio, avranno fior fiore di tate ed istitutrici.

Se le energie mancano ai nonni, le mamme ultraquarantenni non sprizzano certo di carica. Per rispondere “si” alla richiesta “Mamma giochiamo?” dopo una dura giornata lavorativa full time, occorre raschiare il fondo delle proprie riserve energetiche, Diverso è se si hanno 25 anni, quando ancora la vita inizia alle 23:00 e non finisce prima dell’alba. Per le madri tardive subentra poi una sorta di condizione conflittuale: vorrebbero fare, ma non hanno le energie. Vorrebbero non spazientirsi, ma sono in riserva e quindi più vulnerabili.

Per le mamme ultraquarantenni l’infanzia è più lontana, per cui è più difficile ricordare di quando si era bambine, rispecchiarsi in alcuni atteggiamenti dei figli e capire come affrontarli. È difficile usare la fantasia, non la si è allenata per molto tempo a meno che non si sia insegnanti o non si lavori in ambito creativo.  È quindi difficile “stare al gioco”, creare universi fantastici, lavorare con la manualità… insomma quelle cose che popolano le giornate soprattutto nei primi anni di vita dei figli. Ecco perché a volte è più facile dar loro in mano un dispositivo elettronico con dei video o dei giochi: per lasciarli svagare e per respirare un attimo. 

La pazienza, la pazienza è un’altra cosa difficile da mantenere soprattutto quando c’è una giornata lavorativa di mezzo a risucchiarla. Come fare ad averne per un figlio o una figlia che non vedono l’ora di trascorrere tempo con te? Di giocare con te? Di correre con te? Credo sia più facile riuscire a mantenerla quando si ha qualche anno in meno.

Difficile capire le esigenze di un adolescente, difficile capire cosa ci trovi nella musica trap, difficile accettare che cresca e rientri alle 3 di notte, che faccia le sue esperienze e che parli di fluidità di genere come noi parlavamo delle nostre performance di pallavolo. Difficile. Ancor di più se ci separano da lui 40 anni o più. Ecco che tornano a risuonare nella mia testa le parole di mia mamma: “capirai quando sarai madre”

Ora parlo per me: io credo nella natura. Lei detta i tempi. Mi affido a lei anche quando i suoi tempi non collimano con i miei desideri, perché so che lei sa. Che c’è una ragione. Rispetto chi sceglie di oltrepassarla, ma non fa per me. anche se il progresso a volte ci porta oltre i suoi limiti. Non fa per me.

Se si trattasse soltanto di dare amore, la maternità potrebbe avvenire anche a 90 anni e si potrebbero avere cento figli a volta, ma non è tutto lì. O almeno io non credo.

Chiudo con questa dolcissima canzone, che mi ricorda la dolcezza dell’amore materno:

Di Cinzia Costi

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