“Sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione”. Per quanto boriosa e pretenziosa possa suonare tale massima, è in realtà da attribuirsi allo storico e accademico italiano C. M. Cipolla (1922 – 2000). Specializzatosi in storia economica, redasse nel 1976 un insolito regalo di Natale per gli amici, dal titolo “The Basic Laws of Human Stupidity”, libello che sarà successivamente tradotto in tredici lingue e pubblicato in Italia con il titolo di “Allegro ma non troppo” nel 1988. A metà tra esercizio di stile e guizzo anarchico dell’intelligenza, gravosità e divertissement, Cipolla pone il proposito di formulare una teoria generale sulla stupidità umana. Volontà dello studioso è, quindi, rendere calcolabile e quantificabile tale connotazione, abitualmente inesprimibile in termini matematici. 

Sinottico e diretto, d’impronta quasi Asimoviana, Cipolla elabora le cinque leggi fondamentali della stupidità umana. Non esiste alcuna “Legge Zero”, se non il principio che definisce gli stupidi come un gruppo disorganizzato e privo di ordinamento, tuttavia sorprendentemente coordinato e più potente delle maggiori organizzazioni, quali mafie o lobby industriali.

Questo prezioso filo di Arianna si snoda in ulteriori quattro spunti, a completamento della legge primaria, enunciata all’inizio: anzitutto, non esistono collegamenti tra il carattere di un individuo e il suo indice di stupidità: il secondo si manifesta indipendentemente dal primo; inoltre, lo stupido è, per definizione, colui che reca danno agli altri senza maturare vantaggi o addirittura rimettendoci; i non stupidi sottovalutano sempre il potenziale nocivo degli stupidi; infine, la persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.

Vogliamo districarci ancora meglio nel dedalo costituito dalle nostre interazioni? Conviene allora calarsi a tentoni nell’ambito matematico, figurandosi un piano cartesiano. 

Cipolla individua due fattori rilevanti nel computo del comportamento umano: danni o vantaggi procurati dall’individuo a se stesso e danni o vantaggi recati agli altri. Ponendo sull’asse delle ascisse il primo, e su quella delle ordinate il secondo parametro, si otterrà una classificazione di quattro tipi di individui: gli “intelligenti”, recanti vantaggio a sé e agli altri; gli “sprovveduti”, che antepongono gli altri a loro stessi; gli “stupidi”, che danneggiano entrambe le categorie e i “banditi”, alla ricerca del proprio guadagno a spese di altri.

Si noti come Cipolla consideri gli stupidi persino più pericolosi dei banditi.

Nutrire dubbi riguardo le proprie scelte comportamentali è tipico dell’essere umano. L’etica e la morale già si interrogano da secoli al proposito, ma in un’indagine di stampo principalmente umanistico, una ventata di sguardo scientifico potrebbe portare a integrare e costituire una fonte innovativa di riflessioni. Per quanto ilare e paradossale, il breve saggio di Cipolla si configura, infatti, come un larvale tentativo di fornire una nuova chiave di lettura alla celeberrima dicotomia tra “bene” e “male”, “meglio” e “peggio”. 

L’operato di Cipolla getta inoltre le basi per un’indagine di tipo metaetico, ponendo l’accento non sulla ricerca di quali siano i princìpi che governano le nostre scelte, bensì interrogandosi sui criteri da seguire per effettuare la scelta di tali princìpi.

L’applicazione di criteri scientifici per discriminare le azioni umane è ormai diventata di uso comune nella nostra attualità. Uno studio recente condotto dai neuroscienziati coreani Ju-Young Kim e Hackjin Kim sfrutta la risonanza magnetica funzionale per dimostrare come l’attivazione di una determinata area del cervello dipenda dal fine della menzogna: essere mossi da egoismo o altruismo richiede un impegno cognitivo differente. 

L’inesorabile verdetto scientifico si abbatte quindi persino sulle bugie, valutandone lo sforzo cognitivo o le intenzioni alla base dei vantaggi ottenuti.

Potrebbero queste nuove considerazioni condurre a una modifica del nostro approccio decisionale? C’è la possibilità che un computo razionale delle nostre azioni – in qualsiasi ambito – conduca a scelte migliori? Tralasciando l’opinabilità del “meglio”, può essere proficuo intanto riconsiderare il proprio metodo decisionale da una prospettiva esterna e, nel frattempo, lasciar anche solo sedimentare la consapevolezza dell’esistenza di possibili nuovi approcci.

Di Noemi Manghi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *