Intanto, andare in Toscana non è mai sbagliato. In lungo, in largo, si respira buon turismo, mix di natura e storia, cibo, vino e perché no, la specialità: la toscanità, che declinata umanamente è travolgente. In questa meta aggiungiamo la Toscana delle storie di antichi cavalieri, leggende e arte.

L’abbazia di San Galgano, uno dei luoghi più suggestivi negli itinerari della spiritualità. La costruzione dell’abbazia cominciò nel 1218 per iniziativa dei monaci cistercensi, che con la loro rete di monasteri rivoluzionarono la spiritualità medioevale sancendo il passaggio dal monachesimo degli eremiti a una religiosità più ancorata alle esigenze anche economiche dei territori. E colse l’occasione di diventare riferimento economico della zona della città di Siena.

Il declino dell’abbazia nel corso dei secoli ne decretò paradossalmente la fortuna dei tempi nostri. Infissi ed arredi saccheggiati, il tetto “venduto”, ma questo imponente scheletro architettonico, solo struttura muraria, colpì e colpisce con la sua isolata suggestività. Ma perché i cistercensi decisero di costruire un così imponente complesso in una zona così defilata (siamo nella valle del fiume Merse, un po’ dimenticati da Dio).

La risposta è semplice. Perché a duecento metri già sorgeva una chiesetta, l’eremo di Montesiepi, il cui primo nucleo si deve allo stesso santo. E, udite, nella cappella di Montesiepi, confitta in una roccia a un paio di metri dall’altare, c’è una vecchia spada di ferro. Una teca trasparente la protegge da coloro che, novelli Artù, provarono a estrarre l’antica arma provocando seri danni. La fortuna di San Galgano nei secoli e l’immediata popolarità del suo culto stanno in quella spada conficcata nella roccia. Non si tratta soltanto di un mito, come è quello di Artù, ma di vera storia. Tale da concorrere con la più nota spada nella roccia (ovviamente parliamo della spada di re Artù). E come da anni gli storici confermano, San Galgano batte Re Artù in maniera chiara e limpida se ci si vuole attenere ai fatti storici.

Intanto Galgano Guidotti – San Galgano – è un personaggio realmente esistito, nato nel 1148 a Chiusdino e morto nel 1181, come attestano documenti ancora esistenti. Invece re Artù e tutti i suoi cavalieri appartengono al mondo delle leggende. Gli atti della beatificazione di San Galgano risalgono incontestabilmente al 1185, cinque anni prima che Chrétien de Troyes scrivesse il suo «Perceval», dando origine ai miti di Re Artù. Corre l’obbligo di ricordare che la spada di San Galgano non è l’unica arma medioevale conficcata nella roccia in Europa.

Ne esiste una molto simile anche sul cammino di Compostela, e si dice che potrebbe trattarsi della Durlindana, la mitica spada di Orlando, il paladino di Carlo Magno. Ma la spada di San Galgano ha tutti i numeri per sconfiggere sul piano storico quella di Re Artù, mai vista da nessuno. Tra le due spade – quella di Artù e quella di Galgano – la differenza concettuale di fondo sta nel fatto che quella del nostro fu confitta come gesto di conversione. Di quella di Artù nessuna traccia.

Più ci addentriamo nella storia di San Galgano e del suo culto, più la trama diventa affascinante. Esiste un collegamento tra San Galgano e Re Artù. Azzardato, ma esiste. Galgano è tanto simile a Galvano, uno dei cavalieri della tavola rotonda. E poi i collegamenti, neppure tanto misteriosi tra la Toscana della valle del Merse, dove passava la via Francigena, e la Francia medioevale di Chrétien de Troyes, il grande artefice del ciclo bretone.

A far conoscere in Francia la storia di Galgano sarebbe stato un altro eremita, Guglielmo di Malavalle. Secondo alcune ipotesi Guglielmo di Malavalle potrebbe essere non soltanto di origine francese, ma uno dei re di Aquitania ritiratosi dopo una crociata. Quella collegata alla cerchia dell’eremita Guglielmo è soltanto una delle tante ipotesi sul collegamento tra la figura di San Galgano e le storie di Bretagna. Il vero mito della spada nella roccia sarebbe dunque nato in Toscana alla fine del 1100 anche se secondo la leggenda re Artù sarebbe vissuto molti secoli prima.

E noi facciamo un voto di obbedienza al nostro Galgano. A lui dediti, sedere in macchina e via, pellegrini alla sua Abbazia, in questo luogo di bellezza prorompente, oltre che di storia. E che la toscanità, nel vino, nel cibo e nei luoghi, assista la nostra visita.

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