
Filosofa e politologa, Hannah Arendt si configura sicuramente tra i più influenti intellettuali del ventesimo secolo. Nata a Hannover nel 1906, lasciò la Germania nazista nel 1933 per sfuggire alle persecuzioni dovute alle sue origini ebraiche. Fu naturalizzata statunitense nel 1951, anno in cui acquisì notorietà grazie ai suoi studi su Hitler e Stalin, The Origins of Totalitarianism (1951). Raggiunse in seguito l’apice della fama nel 1962 con Eichmann in Jerusalem, uno studio sul processo del gerarca nazista Adolf Eichmann, che include la sua concezione di “banalità del male”.
Tra le migliori espressioni di una prospettiva più ampia della sua filosofia si colloca The Human Condition (1958), pubblicato in Italia nel 1964 con il titolo Vita activa. La condizione umana. Benché in larga parte fruibile come opera di filosofia politica, H. Arendt sviluppa un’acuta analisi della condizione umana e fornisce un’innovativa teoria riguardante il potenziale insito alla nostra specie, da cui trae le mosse la riflessione di questa occasione:
In poche parole,
la natura dell’essere umano è di compiere l’inaspettato, e ogni nascita porta con sé la possibilità di un mondo mutato.
Caratteristica della filosofia è la perenne pertinenza delle questioni a cui ci sottopone. Una costante spada di Damocle che si abbatte in quei rari momenti di solitudine e contemplazione, che però ci contraddistinguono in quanto esseri umani. Può essere allora di prossima utilità sciogliere qualche nodo del pensiero di questa brillante politologa. Anzitutto
PERCHE’ CONDIZIONE E NON NATURA UMANA?
H. Arendt si discosta dalla visione di alcuni filosofi classici, trattando una condizione, prima che una natura umana. Gli uomini sono, infatti, condizionati da fattori sia biologici (vitalità, natalità, mortalità), sia storici (mondanità, pluralità).
La natura è essenzialmente un ciclo incessante di nascita e morte, ma all’uomo è stata fornita una posizione privilegiata, una possibilità di fuga da questo processo. Come, si vedrà a breve.
Ciò che conta è che gli esseri umani hanno dunque la peculiarità di non essere mai totalmente riducibili a queste condizioni.
«Oggi possiamo quasi dire di aver dimostrato anche scientificamente che, sebbene noi ora viviamo, e probabilmente vivremo sempre, soggetti alle condizioni della terra, non siamo meramente creature legate alla terra» |
(Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, trad. it. di S.Finzi, Bompiani, Milano 1997, p. 10) |
IL MIRACOLO DELLA NASCITA E DELL’AZIONE
E’ stato detto che la natura non è altro che un ciclo inesorabile di vita e morte. Inghiotte gli animali, il mondo vegetale, le cose inanimate. La natura dell’uomo è invece di compiere l’inaspettato. L’uomo è esente dall’essere coinvolto in questo ciclo, perché può agire, e la libera azione interferisce con il processo inesorabile di morte, perché permette di cominciare qualcosa di nuovo.
Gli uomini non sono nati per morire, scrive la Arendt, ma per cominciare.
Ogni volta che c’è un inizio, si ha qualcosa di nuovo che non ci si poteva aspettare a partire da ciò che c’era prima. Data la connotazione deterministica e meccanicistica del mondo, ciò che accade di nuovo in natura appare sempre in contrasto con le schiaccianti leggi della statistica e della probabilità. In altre parole, alla stregua di un miracolo.
Mentre gli animali possono solamente vivere in base ai loro programmati e naturali istinti di sopravvivenza, gli esseri umani possono agire al di là dei propri personali bisogni biologici per apportare qualcosa di nuovo, che possa essere riconosciuto socialmente e pubblicamente. Esempi significativi ne sono Socrate che sceglie di bere la cicuta spontaneamente o un martire che accetti il sacrificio di se stesso fino alla fine. Proprio per quest’abilità di compiere decisioni totalmente libere, le nostre azioni non sono mai del tutto prevedibili.
«Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile perché ogni uomo è unico e con ogni nascita viene al mondo qualcosa di nuovo.»
NELLA SOCIETÀ DI OGGI
Compiamo un’ellissi e giungiamo alla fine de La condizione umana. Nonostante le persuasive teorie della filosofa sulla libera azione e decisione, le numerose conclusioni di biologi e sociologi negli scorsi trent’anni paiono smorzare questa sorta di possanza umana. Le persone sono influenzate dalle loro connessioni neurali, geni e ambiente molto più di quanto si fosse pensato. Inoltre, H. Arendt stessa riconosce la sempre più dilagante attitudine a diventare un riflesso passivo del proprio ambiente.
Nelle ultime pagine del saggio, la filosofa sottolinea come la società di lavoratori che siamo diventati induca le persone a perdere di vista la propria libertà individuale e a comportarsi più come una funzione, piuttosto che affrontare la sfida di maturare, pensare e agire per conto proprio.
Come uscire da ciò? H. Arendt direbbe che non siamo animali con cieche necessità di sopravvivenza, né meri consumatori con gusti o preferenze.
La nostra seconda nascita è quando agiamo, apportiamo qualcosa di nuovo e valevole per la società, su nostra iniziativa.
Similmente:
Henri Bergson, L’evoluzione creatrice
Martin Heidegger, Essere e Tempo
Di Noemi Manghi