
C’è chi pensa che la montagna sia una fredda roccia monocolore, ma quando la si vive da vicino, si scoprono mille sfumature diverse che si fondono sulla sua imponente tela – un po’ come con le persone.
Mio padre ha sempre cercato di educarmi alla calma, ma io avevo fretta, forse di crescere, forse di superarlo.
Montagna e velocità, insieme, non portano nulla di buono e sono convinto che lui, dopo i fallimenti comunicativi dei primi anni, abbia ceduto il ruolo educativo alle Alpi, inamovibili pedagoghe.
Val Veny, la nostra destinazione è il rifugio Monzino, un casolare incastonato nel massiccio del Monte Bianco, la via per raggiungerlo una parete verticale.

L’avvicinamento è concettualmente estenuante, sono ansioso di raggiungere la vera sfida, guardo l’orologio, i minuti non passano, digrigno i denti, devo guardare dove metto i piedi, ma ogni tanto lancio uno sguardo alle nuvole che coprono il traguardo, devo assolutamente scoprire cosa nascondono.
Giunti ai piedi della parete, indossata l’attrezzatura, le mie mani sfiorano la fredda roccia, un brivido percorre il mio sistema nervoso causando esplosioni sparse in tutto il corpo, le mie pupille si dilatano, il tempo torna ad essere soltanto una pura invenzione degli uomini, i rumori si assopiscono in un sacro letargo, sento l’aria con tutto il mio corpo.
Ci fermiamo qualche minuto. Sotto di noi, una sottile coltre di nubi ha cancellato dal panorama ogni traccia umana. Il paesaggio è primordiale. Sembra una terra in formazione e pare di sentire il magma in risalita dalle profondità di antichi oceani. Me ne accorgo solo a posteriori, passate le nuvole, come quando durante un viaggio in auto ci si stappano le orecchie e in una frazione di secondo realizziamo l’inganno in cui eravamo caduti, questo magico inganno si chiama Flow Experience ed è capace di trasformare un’esperienza momentanea di uno stato psicologico di massima positività, crescita e gratificazione.

Si entra nel Flow quando le sfide ambientali e le nostre abilità vivono in un movimento omeostatico che elude da una parte l’ansia e dall’altro la noia. Oggi troppo spesso tendiamo a scappare dalla sfida, a temere errore e giudizio e a costringerci in compiti che non richiedono sforzo, ma una semplice ripetizione di ciò che abbiamo appreso.
Immergiamoci nei fondali cristallini dell’azione, dove tutto il resto sparisce e le nostre capacità rimangono sole con i nostri obbiettivi, dove anche noi possiamo eclissarci per riacquistare quella purezza, che conduce inevitabilmente allo stupore.
Perché spesso la parola “capisco” è un sostituto troppo anticipato della parola “fine”.
Articolo a cura di Antonio Floriani