
Mi piace personificare entità inanimate: raccontando la storia d’amore tra Pace e Progresso a qualcuno ho ricordato Samuele Bersani, ma oggi d’amore non si tratta.
Violenza, dopo una difficile giornata di lavoro, siede al bancone di un bar. Ha bevuto qualche gin di troppo e infastidisce con i suoi farfugliati brontolii un gruppo di ragazze in attesa di un tavolo.
Le sue umide parole scivolano come condensa dal labbro inferiore precipitando nei collosi resti dei servizi giornalieri, mentre il suo corpo compie labirintitici archi che danno il mal di mare.
Gli avventori serali osservano l’esibizione da una platea gremita di prosecchi e campari, ora con indignazione ora con ilarità, ma questi sguardi non intaccano la sua giostra. L’unto sui polpastrelli, raccolto scavando in una ciotola di patatine, riflette la fredda luce del locale e contrasta con la nera sagoma sedimentata sotto le unghie.
L’elegante vestito sembra essere stato l’epicentro di un terremoto cardiaco, la cravatta scomposta ricorda una contorsionista dell’Est. “Un altro” esclama sublimando a trofeo il suo collins – il ghiaccio tintinna con la regolarità del timer di una bomba. Il barman, inesperto artificiere, rifiuta e l’esplosione inonda la stanza.
Il vetro del bicchiere si infrange al suolo, lo sgabello viene scaraventato all’indietro mentre assordanti latrati feriscono il gruppo di belle.
Violenza viene trascinato alla porta e gettato sul marciapiede. In dono riceve anche il timbro di una suola, impresso un po’ sulla camicia e un po’ nell’animo. Si rialza, mentre la rabbia e il rancore covati si schiudono dando vita ad un concerto di pigolii infernali.
Si incammina, alla ricerca di un altro bancone su cui vessare se stesso, ballando sotto la pioggia.
Eliminare la violenza è come tentare di mettere a tacere il silenzio.
Come il paradosso del mentitore: “Io mento sempre” – a voi l’interpretazione sulla sua veridicità.
Che la violenza debba cessare è certo, sia essa di mano, di verbo o di mente. Ma tutto ciò deve avvenire con la stessa dolcezza con cui un bambino cancella il tratto di matita dal foglio, dopo averlo usato come guida per il suo ricalco incerto di colori, per non sbavare quel disegno che spera valga l’appensione allo sportello del frigorifero di casa.
Gli orrori della storia, nolenti che si sia ad accettarli, sono la sagoma del nostro presente.
Come Ibo Omari, che anziché cancellare le svastiche rappresentate sui muri di Berlino le ha utilizzate come base per il disegno di fiori e conigli.
Un writer – d’altronde si sa che a volte le lezioni più grandi vengono proprio dalla strada.
Di Antonio Floriani