
Se pensate che, parlando di cammini, io cominci a darvi nomi, regioni, stati, chilometri, carte e indicazioni geografiche, vi sbagliate. Pigramente, molto pigramente, prendete un computer, interrogate il web e ne uscirà di ogni. Comprate i librI della collana dedicata ai Cammini del National Geographic, molto bella come nello stile dell’editore, li trovate tutti. I Cammini.
Quello di Compostela lo conoscete tutti. Sono gli altri che intrecciano la ragnatela dei cammini in Europa che vi incuriosiranno. E forse troverete quello a misura vostra, magari da prendere, come le piste da sci, sotto casa. Il sentire parlare da tanti di Cammini, leggerne e i riflettori accesi sul tema, hanno attratto la mia curiosità.

Un cammino tra i cammini, di riflessione. Perché indubbiamente i cammini stanno diventando moda. E allora il mio primo istinto, aggressivo, moderno, in contrapposizione come appunto va di moda, è stato istintivo: il censore delle mode, il paladino della purezza non modaiola contro tutto ciò che il sentimento comune sposa per tendenza.
Al fuoco i cammini e i camminatori, empi modaioli. Ma poi la mia memoria mi ha suggerito un film, “Il cammino di Santiago” (“The Way”). Uscito nel 2012, più un libro raccontato per immagini che un film. Un padre perde un figlio (muore durante una tormenta proprio mentre sta ingaggiando il cammino di Santiago) del quale non condivideva le scelte che lo portavano a scoprire il mondo attraverso i viaggi.
Il padre decide di portare a compimento il cammino di Santiago con le ceneri del figlio e di andare oltre, fino a raggiungere l’oceano e a gettarvi l’urna. Il padre ricorda che una volta, durante uno degli ennesimi litigi, il figlio se ne uscì così: “la vita è quella che scegliamo di vivere”. E il padre, nel ricordo di un affetto perduto, come spesso capita nelle relazioni, capisce dopo il 90’ minuto quello che rabbia e ottusità non ci consentono di capire durante la partita. In questo caso, la facilità della vita e l’estrema semplicità delle relazioni che complichiamo con le nostre seghe mentali, così lontane dallo spirito dei cammini.
Oggi i cammini sono diventati, dicevo, una moda. Tutti sui cammini a camminare. Istintivamente, concentrandoci sulla parola moda, cominciamo ad erigere il palco della critica. Cosa c’è di sbagliato nel portare le persone su questi cammini? Riflettete: non pura esecuzione geografica di collegamento fra un punto e un altro, ma, intanto, movimento, che male non fa.

E soprattutto movimento del pensiero che, sicuramente frizzato dal logorio della vita moderna (per i più vecchi di voi, ricordate la pubblicità del Cynar?), siete costretti a rimettere in movimento da questo andare lento, senza orari o appuntamenti. Un’attività psicofisica che difficilmente, nella stessa intensità liberatoria, vi capita di fare tra una riunione, un figlio, la mamma, la scuola, la palestra e, peggio del peggio, lo yoga o la meditazione, un’ora al giorno, come se la dimensione della serenità tra un po’ si possa comprare anche al Conad.
Ora dicevo moda, sì moda, tutti ne parlano. E allora cosa ci troviamo questa volta di male? Pensatevi, mentre camminate. Non in modalità pilota automatico, ma riflettete su quante volte i nostri preconcetti possono condizionare una vita migliore. Moda, sì moda, che c’è di male. È di moda e me ne frego, perché seppur di moda mi piace, e mi ci trovo bene dentro questa moda, dei cammini o di tutto quanto scegliamo (fate bene attenzione a questa parola, è il senso di questa riflessione), ripeto scegliamo di vivere.
Dunque , buona giornata a tutti, dal mio cammino odierno: poltrona, letto, televisione. Oggi ho scelto di vivere così, alla moda.